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2022, Biden alla sfida delle mid-term

Lettera da Washington


L’anno che inizia figurerà probabilmente tra i periodi cruciali di questa nazione. Dato che i confini dell’America sono porosi tanto per i migranti che vi accorrono quanto per gli eventi che si susseguono, dobbiamo sperare che i nostri discendenti, nel leggere i futuri libri di storia, possano guardare a questo periodo con serenità; e forse anche col senso di scampato pericolo che abbiamo noi quando ripensiamo agli anni delle tre guerre mondiali del secolo scorso (se contiamo anche quella ‘fredda’, che solo per miracolo è rimasta tale).


Il mantenimento della pace è solo una delle sfide che attendono chi guida il paese, e non è la sola con una dimensione planetaria. Il 6 gennaio ricorre l’anniversario dell’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Trump, fra gli episodi più neri della storia americana, e niente permette di archiviare l’accaduto come un incidente di percorso. La resa dei conti giudiziaria procede con prudenza e la lentezza non è rassicurante. Si avverte che il pericolo non svanisce da sé, e le stesse forze che lo hanno generato sono ancora in campo, rafforzate dall’esperienza e dal senso di impunità. Le lente, ponderose indagini contro gli organizzatori del fallito “putsch” stentano a soddisfare l’attesa di quella parte dei cittadini che vorrebbero vedere accuse precise e circostanziate, e teste rotolare, temendo un secondo, meglio organizzato tentativo nel prossimo futuro. Questo non promette bene per una democrazia. A Hitler occorsero solo dieci anni per passare dal “putsch” di Monaco al potere di Berlino.


Su questo tema, non solo il paese è diviso quanto un anno fa, ma lo è ora dopo un anno intero di pubblico dibattito in proposito. I cittadini hanno ormai idee radicate in un senso o nell’altro, che saranno il sottofondo per l’appuntamento alle urne, le elezioni di mid-term, tra dieci mesi.


Solo allora sapremo se a Biden e ai suoi Democratici resterà qualche autentico potere per il rimanente biennio. Forse il più insidioso dei rischi per l’America, ma anche per le altre democrazie del mondo, sarebbe l’impotenza di Washington in casa propria. Se si avverasse, dovremmo quanto meno aspettarci un ruolo nel mondo prudente ma passivo; oppure, e sarebbe peggio, velleitario. Perciò dobbiamo sperare che gli americani il prossimo novembre scelgano di confermare, e non sottrarre, autorità al governo dell’Unione, ma al tempo stesso offrendo un senso chiaro di direzione, compatibile con la sua ambizione di democrazia aperta, in contrasto con l’eredità mercantilistica abbracciata dal governo precedente.


Non sarà facile, purtroppo, che queste condizioni virtuose si manifestino spontaneamente.

Per cominciare, il prestigio dell’amministrazione Biden si sta erodendo: abbiamo visto la lentezza della giustizia sui fatti del 6 gennaio, che sono palesemente un atto di accusa contro l’intera ideologia cavalcata da Trump e sposata dal suo partito. Non ha giovato al Presidente il disastroso ritiro da Kabul, né i grandi annunci seguiti da insabbiamenti legislativi, che hanno messo in risalto il contrasto tra le grandi ambizioni e i limiti imposti dall’esiguità della maggioranza. C’è stato poi anche il logorio dell’interminabile pandemia, sottolineato da una azione a volte confusa delle autorità, per non parlare dell’irresponsabile campagna di diniego sostenuta dalla passata amministrazione, che ha fatto danni immensi a un paese che già dispone di un sistema sanitario difettoso. Nonostante i giganteschi mezzi della nazione e nonostante il successo dei vaccini, l’accesso dei cittadini ai dispositivi di accertamento e di trattamento è risultato disuguale sul territorio e per le differenti comunità, e spesso sub-standard. Governare un paese federale ha il suo prezzo, e gli Stati più fieramente in contrasto con la capitale sono spesso in prima linea per reclamare gli aiuti federali - come fa ora il Texas. Tutto ciò ha reso più difficile la gestione del governo. Questa ha peraltro avuto i suoi eroi, ma quando su una amministrazione, pur composta dei migliori talenti, si stende un velo di incertezza, diventa difficile conservare l’investitura popolare e usarla a buon fine.


Mentre il governo si batte per compiere il proprio mandato, sapendo di dover andare tra breve alle urne e presentare i suoi successi, l’opposizione non si limiterà ad ostacolare il programma legislativo di Biden in vista del pubblico dibattito elettorale, e si sta preparando meticolosamente all’appuntamento di novembre creandosi - dove può - condizioni privilegiate ed esclusive per rastrellare il voto.


Sono nuvole all’orizzonte, ma non mancano solidi sprazzi di sole: l’economia segna percentuali di crescita cui non eravamo più abituati dai tempi di Reagan, quarant’anni fa, la disoccupazione è ai minimi e l’offerta di posti di lavoro supera la domanda. In parte è un effetto del deflusso di una percentuale di lavoratori, spesso donne, tornati al focolare per far fronte alla responsabilità di “care giver” di famiglia, per effetto della pandemia e della chiusura delle scuole; ma in altri casi, al contrario, la rottura degli schemi lavorativi tradizionali ha invece spinto molti a licenziarsi per aprire attività in proprio, arrivando a creare 450 mila nuove imprese nel solo mese di giugno. Nei negozi, la domanda resta vivace, l’offerta non sempre all’altezza; il conseguente rincaro di generi di consumo di ogni tipo, in particolare combustibili e derrate alimentari, proprio mentre il governo proponeva il suo piano economico con trilioni di ulteriore spesa pubblica prevista, ha sollevato timori di inflazione, mitigati dalla crescita dei salari tre volte più rapida dell’indice dei prezzi al consumo. A coronamento, l’indice Dow-Jones pochi mesi fa ha stabilito un nuovo livello record. Tutto ciò dovrebbe costituire una solida base elettorale, se il quadro rimane stabile fino novembre.


Avremo un anno interessante davanti, dunque, con un governo Biden che raccoglie dei successi, ma si scontra di frequente con barriere politiche invalicabili che lo costringono a deviazioni, ridimensionamenti, rinvii, che lasciano tracce sul suo prestigio. Purtroppo l’esiguo margine parlamentare a favore del governo attuale non offre protezione. Se cadesse questo margine, Biden sarebbe ridotto a governare essenzialmente per decreto e a subire un amaro periodo di impotenza simile a quello capitato alla presidenza Obama per l’intero secondo suo mandato, di cui Joe Biden - che come Vicepresidente aveva un ruolo di primo piano - ha di certo un preciso ricordo.


È difficile di questi tempi, e non abituale per un paese come gli Usa, funzionare in un regime di cohabitation, come dicono in Francia. Sono lontani i giorni in cui non esistevano muraglie tra i due partiti e le maggioranze potevano essere il risultato di alleanze ad hoc, non solo del timbro di un partito. È vero che alla carenza federale può soccorrere in parte l’autonomia degli Stati, coi loro poteri, e viceversa; ma il prezzo da pagare è una dispersione della compattezza del paese. La discontinuità tra gli Stati non può essere accettata senza perdita di autorità del potere centrale, né senza un appannamento del suo ruolo internazionale; e questo è un rischio reale.


Franklin

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