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Coraggio, il meglio è passato -“Addio a Roma” di Sandra Petrignani

Dopo la Nota Aggiuntiva di Ugo La Malfa, Il Commento Politico ha deciso di pubblicare un articolo su “Addio a Roma” di Sandra Petrignani edito da Neri Pozza nell’ottobre 2012 - libro meritatamente accolto da positivi commenti e brillanti recensioni - perché rientra in pieno nei requisiti posti per acquisire cittadinanza e presenza in MEMORABILIA: dimostrare che non eravamo anche nella cultura come siamo e se lo eravamo, possiamo forse tornare ad esserlo.

L’aforisma di Ennio Flaiano – “Coraggio, il meglio è passato” – è la melanconica, giusta conclusione cui si giunge leggendo il libro della Petrignani, così come a conclusione del presente articolo ci è parso giusto richiamare “La vocazione civile”, scena tratta dal film “La grande bellezza” con un magistrale Toni Servillo.

Un amaro raffronto fra l’effervescente, creativa età del dopoguerra e la triste decadenza del contesto artistico e letterario dei nostri giorni che non a caso si aggiunge alla decadenza economica e politica, poiché i tre elementi – cultura, economia e politica – sono intimamente legati.

La stagione narrata dalla Petrignani segue la notte del ventennio fascista che per darsi una base culturale si appropriò (con il beneplacito compiaciuto dei suoi esponenti) del Futurismo per la forte carica modernista e di rottura con il passato, con il Manifesto futurista pubblicato su Le Figaro nel febbraio 1909, tredici anni prima della Marcia su Roma.

Durante il fascismo si ebbe la nascita casuale di una grande generazione di geni dell’architettura (Piacentini, Libera, Del Debbio e soprattutto Moretti, senza dimenticare quel Brasini che Portoghesi definisce “l’intruso del Novecento”) che dettero vita al Razionalismo Funzionale, ripreso in vari Paesi, ma anche la Scuola Romana di Pittura con i vari Scipione, Mafai e Ziveri che però rimase un fatto domestico.

La stagione narrata dalla Petrignani, in pochi anni, si aprì al nuovo, spalancando le finestre dell’asfittica autarchia culturale del ventennio fascista e diventando un punto di attrazione internazionale.

L’autrice Sandra Petrignani, di cui alleghiamo curriculum e pubblicazioni, così sintetizza il suo libro:

““Due poeti si scambiano versi di notte sul Tevere: sono Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna. Una donna bellissima e coraggiosa, fra molti amori e lotte per il potere, si batte per imporre l’arte astratta: è Palma Bucarelli. Uno scrittore giovane e già carismatico fa la spola fra Torino e la capitale per amore: è Italo Calvino. Un artista prestigioso e chiacchierato conquista la città con una mostra sensazionale: è Picasso. Una scrittrice cerca casa nel centro di Roma bisticciando con il marito: è Natalia Ginzburg. Un giovane americano scribacchia pettegolezzi sui giornali per pagarsi la casa in via Margutta: è Truman Capote. Pittori leggendari si arrabbiano in continuazione con le generazioni più giovani: sono Giorgio De Chirico e Renato Guttuso. Un marito e una moglie romanzieri litigano furiosamente in pubblico, ma forse si adorano: sono Elsa Morante e Alberto Moravia. Una grande poetessa austriaca e un importante autore svizzero si amano e si dicono addio in un Caffè di via del Babuino: sono Ingeborg Bachmann e Max Frisch. Un’icona della musica pop e un artista maledetto hanno un affair travolgente, ma lei lo lascia per tornare dal suo infedele innamorato: sono Marianne Faithfull, Mario Schifano e Mick Jagger. Un regista di fama internazionale e il suo più celebre sceneggiatore, che è anche uno scrittore meraviglioso, intrecciano, rompono, ricompongono una turbinosa collaborazione: sono Federico Fellini e Ennio Flaiano. Tra fatti della vita e clamorose dispute letterarie e artistiche, nascita e morte di vivaci testate giornalistiche, l’irripetibile stagione che vide i protagonisti della scena culturale romana al centro di un interesse mondiale, dalla povertà estrema dei primi anni ’50, al furore della Neovanguardia, ai ribaltamenti del Sessantotto fino alla decadenza dei primi ’70, rivive in un colorato affresco per celebrare un recente eppure lontanissimo passato. Dalla ritrosia di Burri alle nevrosi di Carlo Emilio Gadda, dai sadici scherzi di Goffredo Parise alle scazzottate di Consagra, dalle perfidie di Anna Magnani al nuovo gusto camp di Alberto Arbasino, la città della Dolce Vita incontra la sua leggenda in un racconto fastoso e pervaso di ironia. A condurre per mano il lettore, fra via Veneto e piazza del Popolo, da una galleria d’arte a un set cinematografico a una libreria è una ragazza trasteverina, che si chiama Ninetta – come il Ninetto Davoli che ha svolazzato leggero in tanti film e versi di Pasolini – e che traghetterà il suo desiderio di diventare scrittrice da quell’epoca di grandi alla “nuova preistoria” contemporanea”

Questi, solo alcuni dei prestigiosi protagonisti e reali accadimenti di quella stagione straordinaria e irripetibile che il libro narra, legati tra loro dalla presenza e dal racconto di un personaggio inventato, Ninetta, una giovinetta di Trastevere che vede fiorire le sue aspirazioni culturali.

Dal 1952, quando si gira il film “Vacanze romane” che consacra a livello internazionale la Città Eterna come meta preferita di quanti vogliono essere protagonisti nelle arti, nella letteratura, nella cinematografia, al 1975 anno della tragica morte di Pier Paolo Pasolini, data nella quale l’autrice pone l’inizio della decadenza non solo di Roma e non solo nelle arti, ma dell’intero Paese.

In una intervista del dicembre 2013, l’autrice così risponde alla domanda di Paolo Barbieri:

Lei inizia il suo libro “Addio a Roma” ricordando la magia dell’anno 1952 con l’inizio delle riprese del film “Vacanze romane” e il fermento culturale della capitale. Quali sono le differenze che nota oggi? “Le differenze sono tante, ma forse quella più evidente è il clima di allegria e fiducia nel futuro che c’era allora, nonostante l’enorme povertà in cui si viveva. Uscendo da grandi tragedie storiche e personali, ci si buttava nella vita con una fame di bellezza, leggerezza, affermazione, amore. E per affermazione non intendo arrivismo. Si voleva (almeno in campo artistico-letterario) diventare grandi. Non famosi, grandi. E questa grandezza non era legata – come oggi – a un buon sostegno pubblicitario, alla scommessa di una casa editrice o di un mercante su una determinata personalità, ma era la conseguenza di un percorso, del valore, dell’impegno del fare artistico.”

A distanza di un paio di mesi dalla pubblicazione del libro, la scrittrice Michela Murgia scriveva su la Repubblica: “… in quegli anni il romanzo del miracolo italiano camminava per i vicoli di Trastevere, beveva tanto al Caffè Rosati quanto nei più squallidi bar delle periferie, ballava la musica nuova nei locali, scriveva forsennatamente nelle soffitte e negli attici e esponeva tele mai viste sui muri delle cantine sopravvissute ai bombardamenti. Nel 1952 Roma è un solco aperto dove tutti i semi che ci cadono possono solo crescer bene. Mentre muore Benedetto Croce, fiorisce nell’opera di Fellini e Flaiano quel potente immaginario che farà di Roma una cartolina affascinante spedita al mondo intero. Mette radici l’arte grazie all’intuito di Palma Bucarelli, bellissima e nevrotica madrina delle avanguardie più temerarie. Crescono soprattutto letteratura e poesia; nelle pagine di Addio a Roma i loro autori – gente come Calvino, Parise, Arbasino, Ginsburg e molti altri – intrecciano aspirazioni d’eternità a passioni di piccolo cabotaggio con la naturalezza di chi tra la propria arte e la propria vita non veda in fondo alcuna differenza.”

Negli stessi giorni, in una intervista di Paolo Di Paolo de L’Unità, Sandra Petrignani, così risponde alla domanda: “Era facile in quel periodo entrare nel mondo letterario?“Più di quanto si creda. Erano molto importanti le riviste, che oggi hanno perso prestigio. Nell’epoca che ho raccontato, anche piccoli giornali fatti con due soldi potevano aprirti le porte dell’editoria, semplicemente perché circolavano fra gli artisti e gli scrittori, venivano lette, discusse. Non era il tempo degli esordienti da bestseller, da successo immediato, ma di avventurose e perfino esaltanti gavette”.

Marco Lodoli, che Roma la conosce molto bene per aver scritto alcuni dei suoi più bei libri, presentando il libro su la Repubblica a fine 2012 afferma: “Sappiamo che l’età dell’oro non è mai esistita, che ogni epoca ha avuto i suoi dolori e le sue tribolazioni: però leggendo Addio a Roma di Sandra Petrignani ci sentiamo trasportati con un soffio in un tempo migliore. È un libro semplicemente imperdibile, un mazzo di rose letterarie offerte a chiunque voglia capire com’era la vita culturale di Roma dal dopoguerra fino agli anni Settanta, quali artisti la animavano, quali polemiche, quali storie d’amore: dal Neorealismo alle inquietudini sessantottine, da Guttuso a Schifano, dai pittori di via Margutta fino alle contestazioni più dure. In questo viaggio romano ci sono tutti gli artisti di quegli anni, dai mistici come Cristina Campo ai ribelli del Gruppo 63, da Penna a Pasolini a Moravia a Fellini. E ogni artista ha la sua storia, le sue passioni, le sue delusioni, e Roma è sempre intorno con le sue piazze, le trattorie e le librerie, le stagioni. Una città intelligente e sensibile abitata da gente speciale.”

Mentre in una intervista a Marco Balzamo, così risponde la Petrignani: “Nel suo libro, la Roma degli anni Cinquanta-Settanta sembra rigogliosa di personalità straordinarie come lo era, mutatis mutandis, l’Atene di Pericle, la Firenze del Trecento o la Parigi di inizio Novecento. Quali sono, a suo giudizio, le ragioni principali che hanno permesso questo “miracolo”? Cosa aveva Roma più delle altre città?”

“Aveva la bellezza, l’aria cialtrona che t’illude di poterti distinguere facilmente se ti viene la battuta giusta, la storia giusta, la simpatia. Aveva la sofferenza della guerra appena conclusa e una voglia gigantesca di rinascere dalla cenere. Aveva che in fondo non era una grande metropoli e ci si muoveva e ci s’incontrava tutti in un gomitolo di poche strade. Aveva che il genio si accende nello scambio, nella competizione da Caffè, nell’energia della giovinezza. E aveva la generosità. Prendevi a scrivere in un giornale perché conoscevi un usciere, facevi del cinema cominciando come comparsa, buttavi giù una poesia, la recitavi al ristorante, e magari piaceva a Moravia che te la pubblicava su “Nuovi Argomenti”.

“È inevitabile ritornare al presente. Chiudendo il libro si avverte un certo scoramento. Le strade di Roma non sembrano più le stesse – nemmeno la città è più quella – e passeggiando le possibilità di incrociare l’equivalente di un Pasolini, Flaiano, Fellini, Ginzburg sembrano nettamente minori. Come dice Flaiano, “il meglio è passato”? Davvero quegli anni sono già classicità e mitologia e a noi resta la “nuova preistoria”?

“Ci sentiamo così depressi oggi, culturalmente e politicamente, che non ci conviene fare paragoni. Ma non sappiamo cosa succederà domani. Alla preistoria segue la storia no? Speriamo.”

Alice de Carli su “Meloleggo” in tre parole sintetizza la recensione su Addio a Roma: “Intrigante, commovente ed emozionante” . Non si può non essere d’accordo.

Tanti altri commenti e recensioni hanno giustamente dato il meritato tributo a questo bel libro, come Radio Radicale, di cui inseriamo il link dell’intervista all’autrice che, peraltro, e ciò non può che farci immenso piacere, cita due volte Ugo La Malfa.

Una prima volta a pag. 85 quando si narra l’uscita del primo numero de L’Espresso il 2 ottobre 1955 e parlando della redazione allora formata da soli nove giornalisti li definisce “illuminati da Ugo La Malfa che in quegli anni scriveva “Senza una politica che prema sui redditi dei cittadini che ne godono, per creare occasioni di lavoro per i cittadini che non ne godono, il problema della stabilità sociale non si risolve”. Una anticipazione della Nota Aggiuntiva presentata sette anni dopo.

La seconda a pag. 122 quando Ugo La Malfa, insieme a Ignazio Silone, partecipa alla “Mostra di solidarietà per gli artisti d’Ungheria” organizzata da Palma Bucarelli alla GNAM (Galleria Nazionale Arte Moderna) di Villa Borghese l’anno dopo i fatti d’Ungheria.

E non possiamo esimerci in queste note sul libro della Petrignani dal soffermarci, seppur brevemente, su Palma Bucarelli, la cui foto non a caso è pubblicata sulla copertina di “Addio a Roma”.

Nata a Roma nel 1910 dove morì nel 1998, si laureò in Lettere a La Sapienza dove ebbe compagno di studi Giulio Carlo Argan con il quale partecipò e vinse il concorso per ispettore alle Antichità e alle Belle Arti e a soli 23 anni fu destinata alla Galleria Borghese di Roma. Trasferitasi a Napoli, frequentò Benedetto Croce e conobbe Paolo Monelli che poi sposerà nel 1963. Grazie al Ministro Bottai, nel 1941 assunse a soli 31 anni la direzione della GNAM – Galleria Nazionale di Arte Moderna a Valle Giulia dove nel 1944 partecipò attivamente a sottrarre le opere dalle razzie naziste trasferendole di nascosto prima a Palazzo Farnese di Caprarola nel viterbese e poi a Castel Sant’Angelo.

Ricorda Anna Chiara Cimoli “Nel 1947 riapre, prima in Italia, la Galleria, con undici sale dedicate alla giovane pittura italiana. Emergono, da questo momento in poi, i gusti della Bucarelli: Morandi, Scipione, Savinio (che ne fa un famoso ritratto), mentre un presunto ostruzionismo nei confronti di de Chirico determinerà un’inimicizia duratura e molte polemiche negli anni a seguire.

Dal 1948, la predilezione per l’astrattismo si fa sempre più chiara: è l’anno della mostra Arte astratta in Italia. Nel 1951 è la volta di Arte astratta e concreta in Italia, che sancisce ulteriormente l’orientamento del museo.

Perilli, Consagra, Dorazio, Turcato, Corpora, Scialoja, Capogrossi sono i “suoi” pittori; fra le acquisizioni internazionali figurano opere di Moore, Klee, Ernst, Giacometti, Zadkine, Picasso. Non tardano ad arrivare per tutti gli anni cinquanta le interrogazioni parlamentari sugli acquisti per il museo.

Gli anni Cinquanta sono quelli delle grandi mostre che l’hanno resa celebre per le scelte anticonformiste, nonché per le polemiche che ne sono seguite: Picasso (‘53), Scipione (’54), Mondrian (’56, con allestimento di Carlo Scarpa), Pollock (‘58). Quest’ultima mostra, insieme all’esposizione del Sacco grande di Burri l’anno successivo, è il detonatore che fa esplodere la polemica astrattismo-realismo. Sono anni difficili per Palma, difesa da una generazione di artisti e di critici a lei affini (soprattutto Argan e Venturi), ma attaccata sia sul piano culturale che su quello gestionale, con accuse piuttosto pesanti.

La stanchezza, il cronicizzarsi di una violenta emicrania, le battaglie burocratiche sembrano far emergere un male di vivere, una più forte coscienza del proprio limite, Argan è il confidente fedele di questa stagione. Gli anni Sessanta sono punteggiati da grandi riconoscimenti: nel ’61 compie un tour di conferenze negli Stati Uniti; nel ’62 è nominata commendatore dal presidente Segni; viene invitata in tutto il mondo (Canada, Brasile, Giappone…), e ovunque riscuote successo e ammirazione.

Una nuova stagione polemica si apre con il decennio successivo, quando la Bucarelli, ancora e sempre capace di vedere il nuovo e di promuoverlo, imprime un inedito corso al programma culturale della Galleria, ospitando gli spettacoli di Tadeusz Cantor, i concerti di Nuova Consonanza, la mostra di Piero Manzoni (1971). L’acquisto della Merda d’artista sarà oggetto di una nuova interrogazione parlamentare. Costretta a difendersi da accuse circa i criteri d’acquisto adottati durante la sua gestione, non cede di un passo, difendendo sempre in modo documentato la trasparenza del proprio operato.

Nel ’72 riceve la Légion d’Honneur e diviene Accademica di San Luca; nel ’75 è nominata Grande ufficiale della Repubblica. Ormai in pensione, dona una sessantina di opere d’arte della propria collezione alla Galleria, i carteggi all’Archivio di Stato e la biblioteca all’Accademia di San Luca. Muore in una clinica romana nell’estate del 1998.”

Le grandi stagioni hanno sempre bisogno per affermarsi di grandi personaggi che, insieme agli indubbi meriti, attirano anche aspre polemiche e Palma Bucarelli ha segnato con la sua presenza un tratto determinante nella cultura italiana.

Ma oltre a Palma Bucarelli, tanti altri personaggi, luoghi, fatti e aneddoti di “Addio a Roma” meriterebbero una sia pur breve menzione in queste non esaustive note. Si invitano pertanto quanti interessati a leggere il libro della Petrignani, non sorprendendosi poi se – dopo qualche tempo – si avverte la necessità, come accaduto al sottoscritto, di rileggerlo di nuovo per rimmergersi in una stagione di straordinaria vitalità creativa, per uscire dal triste deserto culturale contemporaneo.

E quindi, non a sproposito, concludiamo queste nostre note sul libro della Petrignani riportando il link della scena de “La vocazione civile” del film “La grande bellezza” che a parer nostro illustra non solo la grande maestria recitativa di Toni Servillo (Jepp Gambardella) e la bravura di Galatea Ranzi (Stefania), ma gli stilemi peculiari del mondo culturale attuale.

Un raffronto impietoso e spietato con la stagione così ben illustrata in “Addio a Roma”. Ma al buio degli ultimi decenni nella cultura e nell’economia dovrà necessariamente seguire l’alba di una nuova e più proficua stagione.

“Non vedo ancora l'Italia che sognavo e questo rimane un compito che attende i giovani. Ma sono convinto che sapremo reinserire l'Italia fra le società più avanzate dell'Occidente: esiste ancora un grande avvenire per il nostro Paese.” Questo uno dei passi più significativi dell’ultimo emozionante intervento di Ugo La Malfa al 33° Congresso PRI del 1978 al Palazzo dei Congressi dell’EUR.

Alle future generazioni lasciamo l’improbo impegno.

Maurizio Troiani


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Sandra Petrignani / About Me

BIOGRAFIA




«Piacentina per caso» è il titolo di un racconto autobiografico che scrissi per il quotidiano «L’Unità» un bel po’ di anni fa, e infatti sono nata il 9 luglio del 1952 a Piacenza, in Emilia-Romagna: per caso. Nel senso che la famiglia ha altre origini: madre napoletana, padre romano di discendenza umbra. Era ingegnere dell’esercito italiano e quindi poco stanziale, come spesso i militari, mentre la mamma era farmacista. Gli studi sono stati fatti a Roma e, in piccolissima parte, a Bologna. Laurea in Lettere. Le prime pubblicazioni letterarie sono poetiche. Poi c’è una commedia, Psiche, o i fiori di Ofelia, messa in scena al teatro femminista romano La Maddalena nel ’77. Ero, invece, ancora all’università quando, mentre mi guadagnavo da vivere con supplenze scolastiche, baby-sitting, traduzioni, cominciai a darmi da fare nel giornalismo. Sporadiche cronache sull’ambiente studentesco per Il Messaggero di Roma che piano piano divennero collaborazioni fisse per i settori cultura e spettacolo. Scrivevo un po’ di tutto, dove trovavo spazio, di teatro, di cinema, di televisione, e recensioni di libri, interviste, inchieste. Dieci anni di gavetta che sfociarono nell’assunzione in quello stesso quotidiano solo nell’87. Poi, nell’89, sono passata al settimanale Panorama come redattrice culturale e negli anni avrei anche collaborato con L’Unità, con Il Foglio e con le riviste Diario, Liberal, Giudizio Universale, L’Espresso, Left. Per lavoro ho viaggiato parecchio, ed è uno degli aspetti del giornalismo che ho amato di più; mai, però, che a qualche direttore fosse venuto in mente di promuovermi inviato. Ma non me la sono mai presa troppo per la mancata carriera. Mi interessava altro: pubblicare i miei libri, far parte dell’ambiente artistico e letterario. Del resto anche le soddisfazioni giornalistiche passavano atraverso i libri: due case editrici diverse mi chiesero di raccogliere alcune mie interviste a prestigiose scrittrici italiane, a scrittori e a altri personaggi famosi in due volumi, Le signore della scrittura dell’84 e Fantasia&Fantastico nell’86. Nell’81 miei versi venivano scelti per l’almanacco Poesia della Guanda (introdotti da Giovanni Raboni) e intanto andavo scrivendo quello che sarebbe stato il mio primo romanzo, Navigazioni di Circe, pubblicato qualche anno dopo. Mi ero sposata ventiquattrenne e, nell’83 è nato mio figlio. Intanto partecipavo con Vincenzo Cerami, Paolo Repetti, Malcolm Skey, Beniamino Vignola e un gruppo di giovani scrittori, fra i quali Fulvio Abbate, Marco Lodoli, Sandro Onofri, Sandro Veronesi, alla fondazione della casa editrice Theoria, un’avventura importante che avrebbe movimentato per più di un decennio il panorama editoriale italiano e di cui Giulio Einaudi, per esempio, era un grande, affettuoso, sostenitore. Alla rinfusa ricordo altri autori usciti da Theoria negli anni successivi: Valeria Viganò, Giulio Mozzi, Rocco Carbone, Mauro Covacich, Rocco Carbone, Giampiero Comolli, Mario Fortunato, Emanuele Trevi… e tutti quelli che ora non mi vengono in mente. Theoria fu veramente un fenomeno nuovo che incuriosì molti intellettuali e faceva parlare i giornali. La fine della casa editrice , per problemi finanziari, nel ’95, ha segnato un brusco taglio, culturale ed esistenziale, nella mia vita. Nello stesso anno si concludeva anche il mio secondo matrimonio e si disperdeva il gruppo di amici, scrittori e critici – fra i più importanti Severino Cesari – che simpatizzavano con Theoria e partecipavano alle riunioni. Era la fine di un’epoca. L’editoria, in Italia e all’estero, sarebbe cambiata profondamente, pressata da una produttività fuori misura. E sarebbe cambiata l’immagine stessa degli scrittori, resi tali non dal riconoscimento degli altri scrittori, critici, intellettuali, ma principalmente dal numero di copie vendute e/o dalla personale capacità di stare su un qualche palcoscenico, in prima fila. Per non parlare della fine fisica di tante figure di riferimento: nel ’90 erano morti Giorgio Manganelli e Alberto Moravia, nell’ottobre del ’91 Natalia Ginzburg, nel ’95 Grazia Cherchi, la «zarina della critica italiana», cui dovevo un istruttivo editing e il lancio del mio terzo libro di narrativa, Poche storie. Anche per il romanzo d’esordio (febbraio ’87) avevo avuto un primo lettore d’eccezione: Giorgio Manganelli, che non solo trovò il bellissimo titolo, Navigazioni di Circe, ma m’insegnò a riconoscere la mia propria voce di narratrice, il «battito cardiaco» – come diceva lui – della pagina scritta e a «uscire dalla clandestinità» per trovare il coraggio di pubblicare. Erano altri tempi: senza quegli scontrosi maestri, che sapevano incoraggiare ma anche essere molto severi, non ci si avventurava a dirsi, e tanto meno sentirsi, scrittori. Da allora ho scritto molti altri libri, una grande quantità di articoli e tre radiodrammi per la Rai: Dopo cena (pubblicato dalla Eri), Anime perse, Faccio io. Insieme a Moni Ovadia, la lunga intervista compresa nel libro Dedica (realizzato a Pordenone) e la sua autobiografia Speriamo che tenga (Mondadori). Per un caso del destino, grazie al terzo matrimonio (con un veronese stabilitosi nella zona all’inizio del Duemila) mi sono ritrovata a vivere a otto chilometri da Amelia, la cittadina umbra da cui viene la famiglia di mio padre e di cui resta la traccia nel nome di un antico palazzo nobiliare del centro storico, Palazzo Petrignani, oggi proprietà del Comune. Vivo in campagna, dunque, dove passo la maggior parte del tempo, in mezzo a un gran numero di animali. Al momento tre cani, quattro gatti, sei galline. Per il resto vivo a Roma, nel quartiere Trastevere.

HO PUBBLICATO

1984 – Le signore della scrittura (La Tartaruga) -interviste. Ristampato con aggiornamenti dalla stessa casa editrice nel maggio ’96

1986 Fantasia&fantastico (Camunia) -interviste

1987 Navigazioni di Circe (Theoria) -romanzo. Ristampato da Baldini&Castoldi nel ’97

1988 Il catalogo dei giocattoli (Theoria) -racconti. Ristampato nel novembre

2000 da Baldini&Castoldi e nei tascabili Beat di Neri Pozza nel 2013

1991 Come cadono i fulmini (Rizzoli) -romanzo

1993 Poche storie (Theoria) -racconti

1994 Vecchi (Theoria) -racconti. Ristampato da Baldini&Castoldi nel giugno1999

1996 Ultima India (Baldini&Castoldi) -libro di viaggio. Ristampato da Neri Pozza nel 2006

1998 Come fratello e sorella (Baldini&Castoldi) -romanzo

2002 La scrittrice abita qui (Neri Pozza) – libro di viaggi. Riedito (con minime revisioni) in collana tascabile dallo stesso editore nel 2007

2004 Care presenze (Neri Pozza) – romanzo

2008 Cani e gatti (Perrone) – un racconto

2009 Dolorose considerazioni del cuore (Nottetempo) – romanzo

2010 E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma (Laterza)

2011 Audiolibro tratto da La scrittrice abita qui (Emons)

2013 Addio a Roma (Neri Pozza)

2014 Marguerite (Neri Pozza)

2015 ELSINA e il Grande Segreto (Rrose Sélavy)

2018 La Corsara (Neri Pozza)

2019 La Persona Giusta (Giunti)

2019 Lessico Femminile (Laterza)


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