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Due semplici domande al ministro Amendola

Ieri il ministro degli Affari europei, Amendola, ha fatto una dettagliata esposizione davanti alle Commissioni riunite delle Camere circa le  procedure adottate dal governo per giungere alla formulazione delle linee guida del piano italiano di utilizzazione del Recovery Fund. Ha altresì illustrato le prossime fasi in cui si concretizzerà da qui a gennaio la preparazione del piano italiano. 

L’esposizione conteneva pochissimi dati, salvo quelli iniziali relativi alle cifre del Recovery Fund e di altri fondi europei ai quali il governo potrebbe attingere e nulla sulla qualità dei progetti già affluiti al CIAE dei quali il ministro Gualtieri aveva indicato nei giorni scorsi il numero imponente. Solo nella parte finale dell’intervento, quasi al termine della sua esposizione,  il ministro  ha precisato gli obiettivi di carattere macroeconomico che avrà il piano. Si tratta - ha detto -  di portare il tasso di crescita del reddito nazionale italiano almeno al livello medio dell’Unione Europea (il che vorrebbe dire raddoppiarlo rispetto agli anni più recenti) e di aumentare il tasso di occupazione di dieci punti, anche qui per avvicinarsi alle medie europee. A chi ha ascoltato l’intervento del ministro è sembrato di cogliere, proprio in questo breve passaggio, una lieve esitazione, come se egli fosse consapevole che forse sarebbe stata necessaria qualche precisazione in più in rapporto alla definizione di questi obiettivi.              Le precisazioni in più sono due. La prima è: in qual modo verrà effettuata la valutazione  del contribuito dei singoli progetti per i quali l’Italia chiederà di accedere ai fondi del Recovery Fund ai due obiettivi macroeconomici citati dal Ministro? Questa non è una questione politica, come può essere quella se dare priorità all’economia circolare, all’economia verde o alla digitalizzazione della pubblica amministrazione. E’ una questione molto concreta che presuppone una capacità di valutazione comparativa dei vari progetti verdi, digitali, circolari che vengono proposti. Chi farà questa valutazione? Non certo il Comitato di Valutazione del CIAE che non ha le competenze. Verrà creato un organismo specifico? Ma se si devono  scegliere dei progetti entro gennaio, tale comitato non avrebbe già dovuto essere creato ed essere operativo? D’altra parte se non vi è una sede di valutazione dei progetti, che garanzia vi sarà che i progetti finanziati contribuiscano davvero ai due obiettivi macroeconomici indicati dal Governo? La seconda precisazione  è questa: come si eviterà che la realizzazione dei progetti subisca i ritardi tipici delle spese pubbliche di investimento del nostro paese?  È indubbia la volontà del governo di evitare ritardi attuativi. Ma gli strumenti quali sono? La realizzazione dei progetti di così forte impatto sul reddito e l’occupazione sarà affidata alle amministrazioni che hanno già dimostrato abbondantemente di non sapere procedere con rapidità? Oppure verrà individuato uno strumento nuovo ad hoc per procedere alla spesa delle risorse? Anche qui si dovrebbe dire che se si volesse seguire una strada nuova bisognerebbe avere già iniziato a percorrerla. E tuttavia, avendo ancora tre mesi di tempo prima di presentare i programmi, il Governo potrebbe ancora decidere di seguire una strada innovativa. Ma vorrà farlo? O avrà il timore che una strada innovativa si scontrerebbe con le resistenze della stessa compagine di Governo?

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