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Gli estremisti di centro

I leader della Democrazia Cristiana, che era e voleva essere un partito di centro e che ha saputo restarlo per quasi cinquant’anni, tendevano ad avere, pur nella diversità delle loro posizioni politiche, una caratteristica comune: avevano uno stesso stile espressivo, uno stesso linguaggio. Erano moderati nelle politiche ed erano moderati nell’espressione delle loro idee. Non usavano una comunicazione ansiogena; non insultavano i loro avversari né tantomeno i loro alleati. Semmai, subivano con cristiana sopportazione gli attacchi altrui. De Gasperi, Rumor, Colombo, Piccoli, Forlani e lo stesso Andreotti coltivavano attentamente un parlare alieno dalla violenza verbale. Consapevole che la propria forza fosse la moderazione che trovava riscontro nel corpo elettorale, la DC affidava ai propri leader la responsabilità dei toni concilianti. E quando diventavano segretari personalità divisive come furono Fanfani, Moro o De Mita, si formavano delle coalizioni interne che avevano l’obiettivo principale di sostituirli con personalità meno connotate in un senso o nell’altro per le loro idee.

Coloro che nella situazione odierna parlano di uno spazio elettorale del centro, dovrebbero prima di tutto riflettere su questa esperienza storica. È evidente che una parte del Paese è scivolata in questi anni su posizioni estremistiche di destra, sulla linea di Meloni o Salvini, o di sinistra-destra, come i 5 Stelle. Però c’è ancora terreno per uno schieramento politico che inviti all’uso della ragione e coltivi la forma e la sostanza del dialogo.


Ma chi può costruire una forza di questo genere in Italia oggi? Possono farlo esponenti politici che hanno mutuato il linguaggio delle estreme e che tendono a scartare i propri alleati piuttosto che a includerli?

Questa riflessione è stata suggerita dalla lettura di due interviste, pubblicate ieri mattina sul Corriere della Sera, a Matteo Renzi e a Carlo Calenda, ambedue convinti che il centro abbia un grande spazio – dal 10 al 20 per cento – ma ambedue persuasi che il modo migliore di coltivarlo sia quello di insultare tutti gli altri e soprattutto escludere che l’altro dei due ne possa far parte. Calenda? – ha detto Renzi – lui va verso il PD! Renzi? – ha detto Calenda – lui, se vuole stare con me (sotto di me), deve fare ammenda di tutti i suoi vizi!

Non sono federatori, sono personalità divisive, decise a essere leader unici di un’area che ovviamente, in queste condizioni, è destinata a non nascere. Naturalmente, alla fine sarà la legge elettorale a dettare le necessità. Un sistema proporzionale con uno sbarramento al 5 per cento potrebbe fare il miracolo di unire anche leader riottosi e personalistici come questi. Ma difficilmente le forze maggiori faranno loro questo favore. E quindi l’ipotesi del centro, che pure avrebbe qualche possibilità e qualche futuro, e di cui l’Italia avrebbe bisogno, per ora resta, come dicono i francesi, en veilleuse.

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