Il direttore del Foglio Claudio Cerasa scrive oggi sul suo giornale che “le prime due settimane di Enrico Letta come segretario del Pd sono state convincenti: sono state strattonate le correnti del partito, sono stati cambiati i vertici della segreteria, sono stati sostituiti i capigruppo, sono state premiate diverse donne nelle posizioni apicali, sono stati offerti diversi segnali di discontinuità su diversi temi….e lanciati messaggi … sull’allargamento del terreno di gioco … e sull’identità del partito”.
Noi condividiamo in larga misura questo giudizio. Quelle ricordate da Cerasa sono cose tutte presenti nel discorso di investitura di Letta all’Assemblea generale del partito il 14 marzo scorso. Letta le ha dette ed alcune le ha anche già cominciate a fare.
Tre sono i punti politici che costruiscono la cornice entro cui il nuovo segretario ha inserito l’azione che ha iniziato a svolgere. Tre punti che si tengono a vicenda.
Il primo. Il Pd si muoverà innanzitutto per costruire un’alleanza politica con i partiti del centro-sinistra da Leu ai Verdi a Calenda, dalle forze liberal-democratiche a Più Europa a Renzi. Si tratta di uno schieramento che ricorda per certi versi l’Ulivo e che può aspirare ad un consenso di quasi il trenta per cento dell’elettorato. Da questa impostazione sono derivate sia il transitorio stop alla candidatura di Gualtieri a Roma ed il successivo colloquio con Calenda al fine di trovare una soluzione condivisa nella capitale; sia il diverso atteggiamento di Renzi verso il Pd come si evince dall’intervista di oggi al Messaggero in cui il leader di Italia Viva riconosce a Letta “un profilo riformista” a differenza di Zingaretti che - a suo dire - aveva “consegnato a Conte la leadership del centrosinistra”.
Il secondo. È a nome di questo rinnovato ed ampio centro-sinistra, cioè da posizioni di maggiore forza, che il Pd ritiene indispensabile aprire un costruttivo confronto con il Movimento Cinquestelle guidato da Giuseppe Conte al fine di rendere contendibili al centrodestra le elezioni, prima quelle amministrative di ottobre e poi quelle politiche del (sic) 2023. Pur nella competizione tra le due forze, l’obiettivo finale sembra essere pienamente condiviso da Conte, come è palesemente emerso dall’incontro con Letta.
Il terzo. Il Pd di Letta ritiene di poter vincere le elezioni e di poter giocare un ruolo decisivo nella elezione del nuovo Capo dello Stato. È su questo che Letta ha chiesto e fin qui ottenuto l’unita del partito, una unità per così dire dinamica e quindi diversa da quella raggiunta dalla segreteria Zingaretti, più fragile perché basata su un eccessivamente paralizzante equilibrio tra le correnti interne. Su tale linea, il nuovo segretario ha ottenuto un risultato ulteriore rispetto a quelli già indicati: come notava ieri la Repubblica, “la fronda del nord non c’è più” e sindaci e presidenti di Regione (Gori, Nardella, Bonaccini), prima molto critici verso la precedente segreteria, sembrano tutti allineati con il nuovo leader.
Il percorso di Enrico Letta è chiaro ma ovviamente non è privo di spine.
La scelta delle candidature a sindaco nelle principali città ne costituirà il primo banco di prova quando i niet di Renzi e Calenda ai Cinquestelle si incroceranno con quello dei Cinquestelle verso di loro.
Esistono poi distanze tra il centro-sinistra ed i Cinquestelle non facilmente colmabili, sia sul piano programmatico sia sul terreno della legge elettorale: Letta, e con lui anche Renzi, Calenda e Bonino, sono più propensi al maggioritario; i Cinquestelle vogliono il proporzionale.
C’è il problema dei rapporti fra le componenti del “nuovo” Ulivo, una questione che in passato si è sempre rivelata difficile e potrebbe ancora esserlo domani. Ma al di là di tutto questo, e pure immaginando che possano essere superata le varie difficoltà elencate, rimane un grande problema messo ieri in evidenza, in modo convergente, da due autorevoli voci come quella di Stefano Folli e di Marcello Sorgi. Ambedue rilevavano, infatti, come il doppio matrimonio immaginato da Letta non basta ad assicurare a questo schieramento la vittoria alle prossime elezioni. Sarebbe un’impostazione generosa e ampia, ma pur sempre votata alla sconfitta. I sondaggi restano da questo punto di vista spietati. Il centro-destra veleggia sempre intorno al 48 per cento, mentre il blocco alternativo che dovrebbe costituirsi resta fermo a non più del 44 per cento.
Si tratta di un gap che resta immutabile a dispetto delle divisioni del centro-destra, separato in casa rispetto al governo e attraversato da una sotterranea competizione tra Salvini e Meloni. Qui si pone un primo problema al quale Letta non ha in alcun modo accennato, almeno finora. Perché considerare immodificabile la situazione del centro-destra? Se davvero quello che Letta ha in mente è un blocco europeista, vi sono forze del centro-destra che starebbero meglio in questo blocco che in quello a guida Salvini-Meloni che a Bruxelles rimane collocato fra le forze antieuropeiste. Letta ha intenzione di aprire questo capitolo? Ma poi vi è un’ulteriore possibilità. Secondo Il Commento Politico, anche se la destra europeista decidesse di restare nel carro a guida Salvini e Meloni la battaglia potrebbe non essere persa.
Certo un blocco europeista e pro Biden potrebbe avere delle carte da giocare per ribaltare una situazione che sembra essersi cristallizzata a suo sfavore. Molto potrebbe dipendere dalla persona cui queste carte saranno messe in mano.
Ma questo è un altro discorso su cui torneremo.
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