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Il fattore Zemmour sulle presidenziali francesi

Lettera da Parigi


Scatta, proprio in questi giorni, il conto alla rovescia degli ultimi sette mesi che ci separano dal 24 aprile 2022, data delle elezioni presidenziali in Francia. Un periodo sempre più ravvicinato e al tempo stesso ancora troppo lungo per avventurarsi in previsioni provviste di fondamento e credibilità. Ciò nonostante, i più accreditati fra gli istituti di sondaggio si sono rincorsi nel fornire nuove statistiche e rilevazioni sugli umori dell’elettorato, anche alla luce di alcune prime e consolidate linee di tendenza che provengono dalla società, dai partiti e dai movimenti politici.

La prima constatazione, condivisa dai commentatori anche di schieramenti avversi, riguarda una progressiva, costante radicalizzazione della destra nel suo complesso, che si traduce, in particolare, nel sorprendente superamento della barra del 10°% degli attuali consensi a favore di Éric Zemmour. Il celebre polemista continua abilmente a navigare a vista (e ad accrescere la sua popolarità) alimentando il mistero intorno alla formalizzazione della sua candidatura ed esasperando la tribunizia e monotematica denuncia dell’immigrazione incontrollata e dell’Islam come origine di tutti i mali della Francia, del suo inarrestabile declino, del malessere economico-sociale e dell’insicurezza che mina l’armonia della comunità.

Tutti i suoi oppositori non mancano di incalzarlo sulla necessità di passare quanto prima da una fase di analisi puramente catastrofista del “male” a quella operativa dei “rimedi”; e quindi ad annunci programmatici, più “presidenziali”, più attendibili, per esempio, di quello ossessivamente riproposto circa piani di “emigrazione di ritorno” dei musulmani (quasi tutti, per altro, di nazionalità francese) verso i propri Paesi.

È ancora presto per dire se, al momento di scoprire finalmente le carte sulla sua discesa in campo, Zemmour si rivelerà, come in passato l’outsider Coluche, o come personalità politiche fuori dal coro quali Chevènement, un mero fuoco di paglia. Di certo, però, sta già condizionando pesantemente il panorama complessivo della destra e rinvigorendo la compagine populista all’insegna del più virulento sovranismo identitario, antieuropeo e antiamericano. Non è un caso che Zemmour fosse venerdì scorso a Budapest per far atto di omaggio ad Orban, accompagnato in questa sua prima iniziativa internazionale da Marion Maréchal, l’apostatica nipote di Marine Le Pen.

Paradossalmente, la prima vittima dell’irresistibile (fino a quando?) ascesa di questo inatteso UFO della politica è proprio la leader dell’ex-Fronte Nazionale, che cerca di fare per ora buon viso a cattivo gioco e di mantenere la linea più accomodante, ostentata persino in manifesti, slogan e materiale informatico della sua ormai avviata campagna quale candidata ufficiale all’Eliseo.

Ma il bersaglio di Zemmour, spalleggiato dall’ala innovativa e nondimeno “nostalgica” guidata dalla nipote preferita del vecchio padre nobile del Front, non mira solo ad accentuare la dinamica in discesa (anche nei sondaggi) di Marine Le Pen, accusata da molti, con un interessante neologismo, di “eufemizzazione” (per non dire “emasculazione” degli irrinunciabili valori del movimento). Meno palesemente, ma forse con maggior sottigliezza, il polemista distilla il suo veleno anche in vasti settori dell’elettorato gollista, specie fra coloro (classe medio-alta e terza età) che nel 2017 si erano schierati per il programma conservatore di François Fillon e fra i più giovani seguaci dell’ala destra dei Repubblicani (LR) oggi guidata da Laurent Wauquiez. Così, nel partito potenzialmente maggioritario nel Paese, si moltiplicano le lotte intestine, gli inconfessati inseguimenti delle tesi di Zemmour sul suo terreno di caccia identitario e antieuropeo, la prevalenza di tattiche manovriere e poco trasparenti di intramontabili maggiorenti del partito, come l’anziano Presidente del Senato Larcher o il modesto Segretario Nazionale Jacob. Il risultato è che il metodo per la selezione di un solo candidato gollista non è stato ancora individuato, mentre tramonta lentamente l’idea di una primaria della destra e sembra farsi spazio quella di un macchinoso Congresso straordinario che temporeggerebbe ancora per settimane, fino alla designazione per acclamazione del prescelto in autunno. Paradossalmente in questo caso l’investitura potrebbe ricadere su due potenziali candidati, Bertrand e Pécresse, che dei Les Républicains non hanno più nemmeno la tessera.

Questa caotica situazione del partito che condusse alla vittoria Chirac e poi Sarkozy , oltre a precarizzare le sorti del neo-gollismo (che una terza sconfitta nel 2022 comprometterebbe forse in via definitiva) accentua le preoccupazioni dei molti che paventano un ritorno in forze del fantasma dell’astensionismo, manifestatosi nelle recenti consultazioni regionali: e ciò in controtendenza con i tradizionali, alti tassi di partecipazione sempre registrati nella Quinta Repubblica nel momento cruciale della scelta del Presidente.

E non mancano i vaticini di un pericolo mortale per la democrazia a causa di un crollo della fiducia popolare in una politica “politicienne” che non riesce ad emendare se stessa ed il funzionamento delle istituzioni e che trasmette, soprattutto ai giovani, la sensazione dell’inutilità del loro voto e la necessità di nuove forme di non meglio specificata democrazia diretta con responsabilità non mediate conferite al “popolo”.

Un tema pericoloso, con cui giocano spregiudicatamente radicali di destra e di sinistra e che sembra aver contagiato gli stessi Verdi, lacerati proprio in questi giorni dalla scelta conclusiva del primo turno delle primarie on-line, tra un’opzione di “lotta e governo”, incarnata da Eric Jadot e quella di sola “lotta al capitalismo” della sua antagonista, la “eco-femminista” (sic) Sandrine Rousseau.

A fronte di questo complesso scenario, l’Esecutivo e il Presidente Macron continuano a lavorare avventurandosi sul terreno elettorale solo per ricordare di incarnare approcci concreti e ragionevoli, senza mistificazioni né fughe in avanti. Persino nel difficile passaggio della crisi dei sommergibili, il pragmatismo, il riserbo assieme alla fermezza del Capo dello Stato, sembrano essere stati compresi e riconosciuti, né sono sfuggiti i due risultati ottenuti, generici e preliminari, è vero, ma formali ed espliciti. Quello del riconoscimento di un futuro ruolo europeo nello scacchiere indo-pacifico, che spetta in particolare alla Francia per la sua consistente presenza nell’area, e quello di una prima “luce verde” Usa all’avvio di iniziative che puntano alla difesa comune europea.

Non a caso, i sondaggisti rilevano una netta ripresa della quota di popolarità del Presidente, risalita al di sopra del 45%, un livello mai raggiunto in Francia da nessun “incumbent”: ma sette mesi sono ancora molto lunghi.


l’Abate Galiani


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