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Il sistema sanitario va riformato, la risposta è la medicina territoriale

A rileggerle oggi, le dichiarazioni di ministri e loro esperti e dei presidenti delle regioni ci si rende conto di come il rischio di una seconda ondata epidemica fosse chiaro a tutti. Esaminando ciò che è stato fatto per prevenirla, controllarla e contenerla ci si rende anche conto della totale paralisi del sistema. Ma non è di questo che ci si vuole occupare, lo stanno già facendo egregiamente molti giornali che, come Repubblica, pubblicano lunghe, approfondite ed esaustive inchieste sui loro siti on line.

Ciò su cui vogliamo focalizzare la nostra attenzione sono le gravi carenze strutturali della nostra sanità territoriale che il Covid ha evidenziato, che tutti hanno riconosciuto, che nessuno ha neanche tentato di risolvere, e che non si esauriscono certo nella gestione della pandemia.

Queste carenze vanno ben oltre l’emergenza e finiscono per riguardare la gestione di tante patologie croniche e il loro impatto sul sistema ospedaliero e dei pronto soccorso, spesso intasati da ricoveri impropri ma obbligati proprio per l’assenza di una rete di assistenza rivolta alla cura di persone spesso estremamente fragili, anche solo per l’età avanzata. L’assenza di una rete assistenziale di prossimità o a domicilio che si faccia carico di tali pazienti, evitando quando possibile l’ospedalizzazione, genera un senso di insicurezza e solitudine di fronte alla malattia, che trova nel ricorso all’assistenza ospedaliera l’unica soluzione.

Oggi in alcune regioni sono presenti strutture territoriali che offrono una qualche forma di assistenza infermieristica domiciliare a grandi anziani e pazienti allettati, ma il loro intervento non va oltre la raccolta dei parametri vitali o l’esecuzione di esami basici come l’ECG, oltre alla somministrazione di eventuali terapie endovenose. Tali interventi sono, inoltre, coordinati da un medico di medicina generale. Ma ciò che esiste al momento non è in grado di assicurare un’assistenza di tipo specialistico per condizioni complesse come l’insufficienza cardiaca cronica, che, quando è dovuta ad una patologia primitiva del muscolo cardiaco, conduce a periodici e sempre più frequenti ricoveri in ambiente ospedaliero, o la soluzione di problemi connessi alle patologie oncologiche e alla gestione degli effetti collaterali della chemioterapia, per citare le situazioni più gravi. Mancano, in sostanza, la capacità di effettuare esami più complessi come l’ecografia o esami radiografici e il collegamento tra queste strutture e i centri specialistici. Eppure la tecnologia lo consentirebbe. Esistono da tempo apparecchiature portatili e ultra portatili in grado di garantire tutto questo, dai tablet ecografici agli apparecchi radiografici digitali, ma non esistono strutture pubbliche in grado di offrire ai cittadini questo tipo di servizio (quanto sarebbero utili anche nella patologia da Covid nei pazienti paucisintomatici che potrebbero essere curati e adeguatamente seguiti a domicilio?), così come da tempo esistono le tecnologie informatiche per mettere in rete le competenze specialistiche che possano, attraverso il teleconsulto, interpretare i risultati degli esami e modificare le terapie in corso.

In Italia, annualmente, si laureano migliaia di infermieri e tecnici addestrati ad utilizzare al meglio tali strumenti e affiancare i medici specialisti delle varie branche. Tutte queste risorse umane hanno, fra l’altro, visto ridurre negli anni il loro tasso di occupazione a causa dei tagli di strutture e personale ad un sistema sanitario incardinato sui grandi ospedali, senza che alla chiusura di tanti presidi periferici sia corrisposta una qualche forma di sostituzione assistenziale, e che potrebbero costituire il tessuto connettivo su cui costruire una rete di assistenza extra ospedaliera efficiente e in grado di intercettare tanti pazienti che, in assenza di questa rete, si vedono costretti a intasare i Pronto Soccorso, quotidianamente obbligati a occuparsi di patologie inappropriate con grave danno per le vere urgenze. I grandi ospedali, in cui si concentrano le migliori capacità professionali, dovrebbero trasformarsi da centri di solo ricovero e cura in centri anche di coordinamento specialistico della medicina del territorio, utilizzando quegli strumenti informatici che consentono di portare, seppure virtualmente, le eccellenze specialistiche direttamente al domicilio dei pazienti.

La pandemia da Covid, con la sua prima ondata ha inevitabilmente portato a un collasso di un sistema già in sofferenza e la seconda ondata sembra avviata ad un risultato simile. Averlo previsto, ma non avere agito di conseguenza rappresenta una grave responsabilità dei decisori politici, sia del governo nazionale che delle amministrazioni regionali, oggi contrapposti, sulla pelle dei cittadini contribuenti, in un insopportabile scarica barile nella confusione delle competenze. Ma almeno un merito la pandemia ce l’ha. Oggi tutti sono consapevoli del fatto che il sistema sanitario, così com’è, è fragile e non più equo e solidale come lo si era pensato al momento della sua costruzione. Le diverse criticità sono venute alla luce con chiarezza e, tra queste, la mancanza di una rete di assistenza territoriale appare la più grave. Questa rete non va ricostruita, perché di fatto non c’è mai stata, va pensata e attuata, per restituire ai cittadini quella fiducia definitivamente distrutta da un tipo di patologia che l’occidente industrializzato pensava di avere sconfitto o di tenere ormai efficacemente sotto controllo. Ma si sbagliava.

Cesare Greco

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