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Il tempo degli equilibrismi è finito

Come criticare lo spettatore che, in possesso di telecomando, tra la scena finale di Mezzogiorno di fuoco ed un lungometraggio sulla estinzione dei bradipi scelga il primo?

Difficile quindi sorprendersi se tutta l’attenzione mediatica sia confluita negli ultimi giorni sullo scontro tra Conte e Renzi.

Eppure i problemi che affliggono il lento animale sono le vere difficoltà in cui si dibattono la maggioranza e il governo.

Sono difficoltà comprensibili. Questo governo e questa maggioranza sono nati nell’estate dello scorso anno con un programma chiaro quanto esile. Sterilizzare le velleità di Salvini e sterilizzare l’Iva. Poi, a gennaio, è arrivato l’uragano Covid e tutte le sue implicazioni, sanitarie, economiche ed europee, sono diventate il nuovo e inatteso programma del governo. Conte e i partiti che lo sostenevano si sono messi al lavoro ed hanno ottenuto risultati apprezzabili nell’emergenza sanitaria. Ma soprattutto sul fronte di Bruxelles, quando, convergendo sulla cosiddetta maggioranza von der Leyen, hanno conferito in primavera all’esecutivo un più solido standing europeista. Da questa scelta è derivata una proficua partecipazione ad un negoziato in cui è stata ribaltata la tradizionale impostazione economica restrittiva dell’Ue: la Bce ha continuato ad utilizzare il metodo Draghi del whatever it takes; sono nati il Recovery Fund, il Mes sanitario, il Sure e gli interventi della Bei; all’Italia sono stati riservati ben 209 miliardi del Next Generation Eu.

Si poteva già da allora immaginare – ed era la metà dell’anno - una nuova fase in cui impostare un piano italiano che prevedesse adeguate soluzioni in ordine alle strutture e alle procedure migliori per l’utilizzazione dei fondi europei? Il Commento Politico riteneva di sì e infatti da mesi ha posto questa questione all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica.

Ma la politica ha i suoi tempi, non proprio quelli del bradipo, ma ha i suoi tempi.

La maggioranza aritmetica che sostiene il governo ha fatto fatica a diventare una coalizione. Molto distanti erano le posizioni di partenza dei due principali partiti che la componevano. E molto aspro si presentava il confronto all’interno dei Cinquestelle, divisi non solo tra un’anima movimentista ed una governista, ma anche tra chi riteneva indispensabile trasformarsi in partito e chi continuava a rincorrere l’utopia della democrazia diretta di Casaleggio e della sua piattaforma Rousseau.

Se in una maggioranza non si conosce l’identità e la natura della sua principale componente è difficile che essa possa trasformarsi in una maggioranza politica.

Di conseguenza, in attesa che il M5S risolvesse questa primaria questione, tutto si è fermato. Sul piano politico, quando i Cinquestelle e il Pd non sono riusciti ad andare su basi comuni alle elezioni regionali di fine settembre. Sul piano programmatico, perché l’assenza di un vero spirito di coalizione ha trasformato l’unica iniziativa messa in campo dal governo per discutere del Recovery, e cioè gli Stati generali dell’economia, in un colpo a salve.

L’unico programma del governo è così rimasto quello imposto dalla pandemia, nella sua prima e nella sua seconda ondata.

Negli ultimi tempi la situazione è cambiata.

I Cinquestelle hanno concluso i loro Stati generali ed anche se ancora non si conoscono esattamente i dettagli sul modo con cui si organizzerà il nuovo partito è emersa nettamente la prevalenza della componente governista guidata da Di Maio e da Fico. Tanto nettamente che hanno deciso di votare la riforma del Mes, digerendo con disinvoltura la piccola diaspora costituitasi nei loro gruppi parlamentari italiani ed europei.

Intanto anche i tempi europei del Recovery si sono un po’ allungati. L’accordo estivo è stato prima sottoposto al Parlamento europeo (che ha voluto garantirsi che gli strumenti eccezionali predisposti non andassero a scapito delle poste ordinarie del bilancio pluriennale dell’Unione) e poi è stato oggetto di uno strenuo negoziato con Polonia e Ungheria, restie ad accettare il collegamento tra erogazione dei fondi e rispetto dello stato di diritto.

Questi problemi sono stati superati.

La domanda che poniamo è: ora che una vera discussione sul piano italiano per il Recovery è possibile, come si intende affrontarla? Sullo schermo non ci sono solo due programmi, la sfida western tra Conte e Renzi ed il documentario sul bradipo che cerca di trasformarsi in ghepardo, proponendo soluzioni da approvare in fretta nella sessione di bilancio.

Ciò che va chiarito è se finalmente la maggioranza parlamentare sia diventata una maggioranza politica con un programma per far ripartire il Paese.

Ieri due autorevoli esponenti del Pd hanno posto lo stesso tema. Il vicesegretario Orlando ha dichiarato che “occorre definire una nuova agenda di governo”. E Goffredo Bettini ha chiarito: che “il governo deve ancora approvare una sua prima proposta sul Recovery”; che “occorre fare attenzione ad ogni passaggio politico ed istituzionale; e che “alla fine di febbraio si tireranno le somme sia sull’ingegneria di gestione, sia sulla scelta definitiva dei progetti e dell’allocazione delle risorse”.

Il problema, dunque, non è se cade il governo, ma se si è finalmente costituita una maggioranza all’altezza della situazione.

Oggi sembra ce ne siano le condizioni. I partiti di governo, senza ulteriori indugi, operino, quindi, il necessario chiarimento politico e, conclusosi l’esame del bilancio, portino rapidamente in Parlamento una soluzione meditata e non frutto di compromessi al ribasso.

Il tempo degli equilibrismi è finito.

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