Il numero 1-2021 dell’American Economic Journal: Macroeconomics, l’autorevole trimestrale dell’American Economic Association più direttamente centrato su temi e problemi di macro-economia, include tre saggi raggelanti sulla eventuale ripresa economica e sul futuro dell’economia internazionale. William Nordhaus si interroga sulle «possibilità», non sulle «probabilità» di crescita economica. Ricorda che già Malthus aveva ipotizzato una stagnazione secolare e si chiede se la digitalizzazione è un’innovazione tecnologica analoga a quella che fu l’industrializzazione. Non dà una risposta netta ma anzi aggiunge altri interrogativi: la crescita economica può riprendere in un mondo in cui si stanno esaurendo le risorse naturali, la pressione demografica comporta una riduzione degli standard di vita, l’invecchiamento della popolazione provoca una riduzione dell’inventività, le emissioni di CO2 producono cambiamenti catastrofici del clima, ed il «magazzino delle grandi invenzioni» pare vuoto?
Ufuk Akcigit and Sina T. Ates analizzano le dieci principali determinanti del declino del dinamismo imprenditoriale e le riassumono in riduzione della velocità di trasmissione delle innovazioni di processo e di prodotto tra industrie all’avanguardia e industrie di retroguardia. Erik Brynjolfsson, Daniel Rock e Chad Syverson esaminano la curva della produttività e concludono che le tecniche statistiche disponibili (specialmente quelle della contabilità economica nazionale) non consentono di misurare a pieno i benefici sulla produttività di una «general purpose techonology» come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale; propongono nuove tecniche di misura che, se applicate in modo consistente e rigoroso, potrebbero mostrare un futuro meno oscuro. Tra i tre saggi sulla crescita, il terzo è il più moderatamente ottimista.
Cassandra veniva accusata di essere una menagramo. Forse la stessa accusa può essere rivolta a Nordhaus, Akcigit, Ates, Brynjolfsson, Rock e Syverson. Ma Cassandra – ricordano i poemi greci e latini - aveva ragione. E non è detto che non abbiano ragione cinque rigorosi accademici che si sono sempre tenuti distinti e distanti da incarichi politici.
Se la loro analisi è corretta, ha, però, implicazioni profonde per chi è nell’agone politico, specialmente per coloro che debbono determinare quali «criteri di scelta» adottare nell’allestire politiche economiche e nel selezionare azioni e progetti specifici. Se l’orizzonte è notte e nebbia, con qualche barlume di schiarita (nell’interpretazione di Brynjolfsson, Rock e Syverson), sembra logico avere come criterio predominante, se non unico, quello di massimizzare la crescita.
Nell’esempio specifico della Recovery and Resilience Facility, in questi giorni oggetto di dibattito, si dovrebbe chiedere al Ministro dell’Economia e delle Finanze, di produrre, con il 'Multisector applied computable general equilibrium model for Italy' (il modello multisettoriale sviluppato a Via Venti Settembre e considerato esemplare dalla Commissione europea), simulazioni di pacchetti (o “grappoli” come li si chiama a Bruxelles mutuando dalla terminologia francese) di investimenti che massimizzano il contributo alla crescita del Pil. Sarebbe strumento eloquente sia per ridurre la conflittualità che lacera la maggioranza sia nell’interlocuzione dell’Italia con gli altri Stati dell’Unione Europea, nonché con la Commissione.
Bagehot
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