Qualche giorno fa, in una trasmissione televisiva, il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, ha affermato che è in atto un tentativo di liquidare l’esperienza del governo Conte 2 di cui si dimenticano i meriti nell’avere sostenuto la necessità di uno sforzo comune europeo per aiutare i Paesi membri a uscire dalla crisi economica causata dal Covid 19 e nell’avere ottenuto che, nell’ambito dei nuovi orientamenti maturati in Europa, l’Italia divenisse il maggiore beneficiario di quei fondi. Citando le parole di Mario Draghi, nel suo discorso di insediamento, a proposito del piano italiano del Recovery Fund, Travaglio si è detto convinto che anche la preparazione del piano sia stata condotta nei mesi scorsi in modo pienamente soddisfacente.
Il Commento Politico ha dato molte volte atto al governo Conte del successo nel negoziato europeo. Abbiamo però sostenuto – e qui la nostra valutazione diverge nettamente da quella di Travaglio – che esso è stato del tutto carente nella fase di preparazione del piano.
Conte avrebbe dovuto consolidare il quadro politico che sorreggeva il suo governo, da un lato preoccupandosi di trasformare la sua maggioranza parlamentare in una maggioranza politica e dall’altro adottando uno schema lungimirante di impostazione del piano in modo da coinvolgere nell'ideazione e nella realizzazione le energie migliori.
Non è avvenuta né l’una cosa né l’altra. E questo ha progressivamente incrinato la possibilità che l’occasione del Next Generation Eu potesse essere colta in pieno.
Vi è stata forse l’illusione che, superato lo scoglio più difficile, quello di persuadere l’Europa a un cambio di paradigma, non sarebbe stata necessaria una particolare riflessione sul modo di preparare e realizzare il piano. Di qui la scelta del presidente del Consiglio di centralizzazione il controllo delle risorse a Palazzo Chigi con l’intento di avere più forza nei confronti della sua maggioranza.
Il Commento Politico fin dalla scorsa estate ha segnalato che ci si era avviati su una strada sbagliata.
Il primo errore è stato quello di non avere aperto, all’indomani della conclusione del negoziato europeo, una riflessione seria su quale dovesse essere la struttura della governance del piano, sia nella fase della redazione, sia nella fase della realizzazione. La cifra ingente, molto superiore a quella che annualmente l’Italia impiega in spese pubbliche in conto capitale, avrebbe dovuto suggerire la necessità di riflettere sulla capacità delle amministrazioni dello Stato e degli enti locali di realizzare un progetto di queste dimensioni. Del resto, era il governo stesso a dirsi consapevole dei prevedibili ritardi strutturali nella spesa dei fondi. Riteneva necessaria, infatti, una grande riforma della pubblica amministrazione, ma non sembrava cogliere le implicazioni di questa valutazione.
Il secondo errore del governo, ancora più grave e diretta conseguenza del primo, è stata la decisione all’inizio dell’estate, di sollecitare tutte le amministrazioni pubbliche, centrali e periferiche, a presentare progetti, in tal modo rinunciando a individuare delle direttive di fondo alle quali ancorare l’impiego delle risorse. A fine agosto le conseguenze negative di questa decisione risultavano chiare da una dichiarazione dello stesso ministro dell’Economia, che rivelava come i progetti presentati dalle pubbliche amministrazioni comportassero una spesa molto superiore ai 200 miliardi assegnati all’Italia e, nello stesso tempo, che la qualità dei progetti non fosse eccelsa.
Sulla base di queste valutazioni, Il Commento Politico ha fatto sua la proposta della Fondazione Ugo La Malfa diretta a sottrarre la governance del piano italiano ad un quadro politico e di governo sempre più confuso ed autoreferenziale che forse, proprio per questo non è stato in grado di prestare ascolto alle preoccupazioni sollevate. Sono preoccupazioni che, però, hanno trovato puntuale conferma.
Diversi interventi del Commissario Gentiloni, che testimoniavano l’allarme europeo per il modo in cui si procedeva, e la rissa sulla cabina di regia proposta da Conte fra novembre e dicembre, sono stati l’epitaffio scolpito prima sul piano italiano e poi sul governo Conte 2.
A che punto siamo oggi?
In un’intervista concessa al direttore della Stampa, Massimo Giannini, il Commissario Gentiloni dichiara: “Con le correzioni e le integrazioni fatte al Recovery nelle ultime settimane abbiamo già una buona base, coerente con le priorità UE. Ma restano ancora parecchi passi avanti da fare sia sugli impegni di riforma sia sulle procedure di attuazione. Il tempo stringe”.
Mario Draghi ha ereditato un piano in cui esistevano i grandi capitoli di spesa ma non i progetti. Il nuovo governo deve quindi recuperare un tempo perso che si misura non in settimane, ma in mesi.
Il “completamento” del piano Conte non sarà agevole anche se avere individuato delle personalità tecniche per i tre principali capitoli di spesa, il digitale, l’ambiente e le infrastrutture, rappresenta un importante passo in avanti, così come lo è avere affidato al ministro dell'Economia, Daniele Franco, la guida finanziaria del progetto.
Il tempo a disposizione si è fatto breve perché l’Europa attende presto il piano, ma la sua realizzazione, come lo stesso Draghi ha sottolineato, è destinata a protrarsi per molti anni. Lo “spirito repubblicano” e il buon governo cui si è richiamato il presidente del Consiglio non possono essere solo una breve parentesi.
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