Lettera da Bruxelles
Mai la cesura tra Russia e resto dell’Europa è stata così netta. Nessuna linea di collegamento pare reggere l’urto di un fronte che si avvicina e rende tanto drammatica quanto realistica la prospettiva di uno scontro diretto.
Uscita dal Consiglio d’Europa, la Russia presto potrebbe abbandonare perfino internet per chiudersi in un suo sistema solare, mentre le sanzioni creano un cordone quasi invalicabile a ogni relazione. Pare un miracolo che rimangano le relazioni diplomatiche, visto che gli altri “ambasciatori” – corrispondenti occidentali in Russia e magnati russi del calcio in Inghilterra, e addirittura le opere d’arte in prestito qua e là – abdicano o devono abdicare al loro ruolo di ponte. Non sentiremo più quei nomi curiosi delle squadre di calcio che giravano ai tempi dell’URSS – Dinamo o Lokomotiv – né ascolteremo più l’orchestra di San Pietroburgo. Mai, né ai tempi degli zar e neppure sotto l’URSS, Mosca è stata così irraggiungibile.
Il Cremlino paga i suoi errori dovendo abdicare alla sua appartenenza europea e non gli resta che vendersi per poco a Pechino, magari ribadendo la sua vocazione asiatica. Eppure, l’ossessione di Mosca per tenere Kiev sotto il suo diretto controllo, paradossalmente tradisce anche la volontà di restare con un piede quanto più a occidente sia possibile. E l’Ucraina, che è parente stretta della Russia, con la sua tenacia europeista parla anche a nome di una parte importante della società russa che oggi tace, deve tacere, ma che è consapevole del suo destino europeo.
Che Putin non sia tutta la Russia lo si dice spesso, anche a Bruxelles. Ma di fatto, cosa si sta facendo, cosa si potrà fare per tenere dei canali aperti con un mondo che è una componente fondamentale del canone europeo? Bruxelles ha bisogno di muoversi almeno su tre direttrici.
In primo luogo rafforzare nella sua narrazione – che sia un discorso ufficiale o la premessa a un piano di azione – che l’Unione Europea è solidale con gli ucraini ma anche con i russi oppressi, e che si propone come un progetto aperto, nel quale i cittadini russi, nella loro dimensione storica, culturale ed economica, costituiscono una parte essenziale dello spazio europeo; dei parenti stretti allontanati dalla scelte scellerate dei loro governanti, ma sempre parte di una grande famiglia. Parrà ingenuo, ma queste rassicurazioni sono come il pane per una parte della Russia, ben più vasta dei quindicimila arrestati da Putin in queste settimane e dei sostenitori di Navalny. “Grazie per non avermi rifiutato in quanto russo”, ha scritto da Mosca un giovane fotografo che aveva rapporti di lavoro con l’Italia.
Allo stesso tempo, occorre mettere mano a una serie di strumenti operativi che mantengano un livello minimo di comunicazione diretta. Il più importante è forse la riscoperta della vecchia e affidabile radio, una voce unica nel riuscire a bucare censure e barriere tecniche. La creazione di un servizio in russo che dia spazio alla posizione UE sarebbe di straordinaria utilità, affiancandosi a quelli esistenti di Voice of America e BBC World Service. Quanto alle borse di studio per studenti e per ricercatori indipendenti, dovrebbero essere aumentate. La Normale di Pisa, ad esempio, ha interrotto la cooperazione con le istituzioni accademiche russe dopo che hanno collettivamente firmato un documento che le impegna a formare i nuovi “patrioti”, ma continua a lavorare con singoli professori. C’è un’ “altra Russia” che tra repressione interna e isolamento internazionale, avrà bisogno di tutto: bisogna capire come poterla aiutare concretamente.
Infine, il perimetro del mondo russo è più ampio della Federazione. A parte le decine di migliaia di cittadini di Mosca che si sono già “rifugiati” in Georgia o in Finlandia, molti dei paesi dell’ex-URSS, in Asia Centrale e nella Transcaucasia, sono direttamente colpiti sia dall’effetto delle sanzioni che dal senso di frattura tra l’UE e un mondo al quale comunque sentono ancora di appartenere. Sono Stati con relazioni consolidate con l’UE, con accordi bilaterali politici e commerciali (la Mongolia è anche partner ufficiale della NATO) e oggi è nell’interesse europeo rafforzare questo legame e dedicare un’attenzione particolare a questa ex Grande Russia in cerca di identità e di nuovi riferimenti.
Le guerre hanno le onde lunghe e spesso, più delle volontà positive dei popoli, hanno determinato i destini collettivi. Le invasioni della Russia da occidente sono sempre state respinte e il fossato è rimasto largo. Gli esiti di questo conflitto, in direzione opposta, sono imprevedibili. Ma, con molto ottimismo, osiamo pensare che questa catastrofe potrebbe alla fine risolvere la contraddizione russa e affermarne la vocazione europea.
Dipende anche dall’UE, dal linguaggio e dalle scelte di oggi, nelle ore più buie, tenere aperto questo sempre rinviato ritorno a casa.
Niccolò Rinaldi
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