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La strada per Tipperary

Lo scoppio dell’epidemia ha imposto a una maggioranza parlamentare costituitasi solo in funzione anti Salvini di provare a trasformarsi in una maggioranza politica. Si trattava e si tratta di una questione ardua perché le due principali forze della coalizione hanno storie profondamente diverse.

Il Commento Politico è nato – esattamente due mesi fa - anche per dare un contributo su questo tema, che è estremamente complesso perché investe questioni di carattere sia politico che programmatico.

Tre sono i principali terreni su cui abbiamo richiamato l’attenzione delle forze politiche e dell’opinione pubblica.

Il primo aspetto è quello dei nostri rapporti con l’Europa e in particolare con la Germania. La realizzazione della cosiddetta maggioranza von der Layen non era infatti di per sé sufficiente ad avviare con successo un proficuo negoziato. La prima cosa da fare era liberare il tavolo da ogni pregiudizio antitedesco, da una posizione, cioè, che oltre ad essere sostenuta dalle forze sovraniste nostrane, albergava anche in diversi settori della maggioranza.

Aver cessato di sederci al tavolo chiedendo esclusivamente aiuto e la virata tedesca in favore della formula simul stabunt simul cadent, sono alla base del ribaltamento delle politiche europee - da restrittive ad espansive - con la nascita del Recovery Fund e con gli interventi massicci della Bce.

Se da un lato si tratta di un grande risultato, la cui dimensione potrà peraltro misurarsi solo dopo il prossimo Consiglio europeo, è però necessario ricordare che, per maggioranza e governo, la strada per Tipperary è ancora molto lunga.

Altre due sfide, altrettanto delicate, attendono la coalizione che sostiene l’esecutivo.

Prima di tutto essa deve decidere se rimanere un insieme di forze in aspra competizione nella distribuzione dei fondi europei, mantenendo la tradizionale spartizione delle risorse tra ministeri guidati da esponenti dei diversi partiti. Noi riteniamo che le condizioni del Paese impongano che le risorse europee non vadano sprecate e che sia indispensabile attribuire ad un unico centro motore il compito di definire la priorità degli interventi, i criteri e le procedure di accesso ai fondi, la realizzazione dei progetti e quello stretto collegamento con le istituzioni europee che i nostri partners richiedono.

C’è infine un’altra questione che sarebbe imprudente sottovalutare: la definizione di un nuovo modello di presenza dello Stato nell’economia. Perché la nuova e più consapevole Europa che sta nascendo in questi mesi realizzerà, accanto a nuove potenzialità di sviluppo, anche nuove forme di disuguaglianze, soprattutto a svantaggio di Paesi come l’Italia che a causa dell’ingente debito pubblico potrebbero vedersi costretti a cedere parte del proprio patrimonio industriale. Per evitare questo rischio una trincea andrebbe scavata subito.

D’altro canto, sono già aperti dossier che imporranno un intervento pubblico, a partire da Alitalia a Ilva. Comunque finisca l’attuale querelle sulla revoca della concessione, un destino analogo riguarderà anche Atlantia.

La crisi del Paese non sarà breve e ciò rende indispensabile operare da subito scelte all’altezza della situazione: occorre decidere se intervenire caso per caso senza alcun disegno complessivo, trasformando la Cassa depositi e prestiti in una nuova Gepi o immaginare strumenti simili all’Iri e alla Cassa del Mezzogiorno delle origini.

Come impiegare le risorse europee e come salvaguardare il patrimonio industriale italiano sono le sfide su cui si misurerà la tenuta del governo. E forse anche della maggioranza.

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