La Repubblica scrive stamane che “i pochi in grado di decrittarne i pensieri giurano che Mario Draghi stia già pensando al trasloco.” Ovviamente l’articolo si riferisce al passaggio dalla Presidenza del Consiglio alla Presidenza della Repubblica e spiega che a gennaio, portata a buon fine la campagna vaccinale, varate le norme del decreto Ripresa e ottenuta l’approvazione da parte della Commissione europea del Recovery Fund, il presidente del Consiglio potrebbe “considerare svolto il suo mandato” e trasferirsi al Quirinale.
Il Commento Politico non dubita che i due giornalisti di Repubblica che firmano il pezzo abbiano parlato con molte persone autorevoli e che riferiscano esattamente ciò che hanno sentito, ma l’impressione è che tali aspirazioni siano da attribuire, più che al presidente del Consiglio in carica, a uno o più presidenti del Consiglio in pectore già in azione, o magari soltanto ai loro strateghi.
Ma veramente qualcuno può pensare che nel gennaio del 2022 l’Italia sarà tornata a una condizione di normalità tale da consentire di riprendere la dialettica politica degli scorsi mesi ed anni? Una dialettica, fra l’altro, che non sembra avere dato risultati entusiasmanti per il Paese.
Prendiamo il Recovery Plan. Tutti i commenti apparsi nei giornali in questi giorni segnalano che il reale problema che l’Italia dovrà affrontare, la vera sfida del Recovery Fund, riguarda l’attuazione di quello che il governo ha scritto (e non ancora completamente scritto nel Piano). Ed il problema è talmente difficile e intricato che, nonostante l’accelerazione impressa dal governo Draghi sulla governance del Recovery è ancora in preparazione un decreto-legge che dovrà specificare non solo come sarà guidato il Piano, ma come saranno definiti i poteri di controllo e di sostituzione delle amministrazioni pubbliche che non riusciranno a rispettare le rigide tabelle di marcia previste dalla Commissione europea e necessarie per garantire l’afflusso delle tranche periodiche di finanziamento.
È vero che si prevede l’adozione di vari decreti, uno dei quali dovrà contenere, appunto, la governance del Piano e un altro le misure di semplificazione che dovrebbero consentire la spedita realizzazione dei vari progetti. Ma qualcuno si illude che scrivere delle nuove norme equivalga a garantire la puntuale esecuzione dei progetti? È l’errore commesso dal governo Conte, che varò nell’estate del 2020 un decreto-legge semplificazioni che – per opinione generale – non ha funzionato, laddove non ha complicato le cose. La realizzazione tempestiva dei piani richiede che siano in essere delle nuove procedure, non che esse siano descritte nel testo di una legge. Le norme sono al massimo una condizione necessaria. Non sono, salvo casi particolari, una condizione sufficiente per cambiare la funzionalità della pubblica amministrazione. Dunque serve non solo una governance, ma soprattutto un governo solido e duraturo, che è qualcosa di più e di diverso dalle norme scritte per realizzare il Piano italiano del Next Generation EU. E questo vale per il Recovery, ma anche per tutto il resto dell’Agenda politica interna, europea e internazionale che l’Italia deve portare avanti, per il tempo necessario ad attuare il piano e oltre.
Abbiamo letto (con un qualche timore) su molti giornali che il governo prepara l’immissione di migliaia di nuovi funzionari pubblici che seguano la realizzazione del Piano. Qualcuno pensa che basti immettere dei giovani nell’amministrazione per farla funzionare, senza un attento processo di preparazione di queste immissioni, stando attenti a evitare che il nuovo finisca per paralizzare il vecchio?
Ecco dunque il problema: molti aspiranti alla successione di Draghi, o loro consiglieri, nutrono il wishful thinking che l’Italia possa cambiare in un anno. Noi pensiamo che sia la destra che il centrosinistra che i Cinque Stelle abbiano negli ultimi dieci anni avuto le loro occasioni di sperimentarsi al governo. Con risultati non particolarmente convincenti. Prima di ipotizzare un cambio di governo, occorrerebbe che tutte le forze politiche avessero piena consapevolezza degli errori commessi e non accelerassero, compromettendola, una fase di transizione politica ed economica che rappresenta la appropriata terapia e la necessaria convalescenza. E, come si sa, sia le terapie che le convalescenze chiedono tempo e perseveranza. A tal fine sia data a Mario Draghi l'indispensabile fiducia per il tempo che tutti gli osservatori internazionali ritengono opportuno. Un tempo che non è breve.
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