Due giorni fa, al momento della sua elezione, il nuovo Presidente della Corte Costituzionale Mario Morelli ha dichiarato ai giornalisti che lo interrogavano sul referendum relativo al taglio dei parlamentari: “La riforma incide sulla costituzione in maniera relativa e va completata con provvedimenti in tempo diacronico”.
Il Presidente Morelli non poteva sbilanciarsi oltre ma è evidente che il significato della sua affermazione è che la riforma da sola non sta in piedi. Anche tutti coloro che si sono dichiarati per il Sì ammettono che sono necessari interventi in materia costituzionale ed elettorale, oltre ovviamente a profonde modifiche dei regolamenti parlamentari.
Solo qualche esempio: il corpo elettorale che elegge il Presidente della Repubblica è oggi composto da senatori, deputati e da rappresentanti regionali (58 a fronte di 950 parlamentari, cioè poco più del cinque per cento). Se vince il Sì, il peso dei delegati regionali diventa il 10 per cento.
Ancora: senza una nuova legge elettorale la rappresentanza dei cittadini di alcune regioni sarà fortemente ed ingiustamente lesa perché il numero di parlamentari eleggibili in quei territori sarà drasticamente ridotto: avremo elettori di serie A e di serie B.
Oppure: il numero dei componenti delle commissioni parlamentari – soprattutto al Senato – e cioè nelle sedi dove effettivamente si svolge il lavoro legislativo, si ridurrà a una decina di membri: col risultato che saranno rappresentati solo pochi gruppi parlamentari e i designati saranno oberati da carichi di lavoro impossibili.
Si potrebbe continuare ad oltranza.
Dunque, le modifiche costituzionali proposte non stanno in piedi da sole. Ed è quindi non solo giusto, ma doveroso votare NO.
Anche a voler accettare l’idea di votare una riforma costituzionale che abbisogna di altri interventi legislativi, chi ci assicura che tutte le ulteriori modifiche saranno fatte? I Cinquestelle? Cioè coloro la cui cultura istituzionale si manifestò alla formazione del Governo Conte Uno, quando chiesero l’impeachment del Presidente della Repubblica perché il Capo dello Stato, nell’esercizio delle sue prerogative costituzionali, aveva espresso dei dubbi sulla nomina di alcuni ministri? Cioè coloro che hanno fatto votare sulla loro opaca Piattaforma Rousseau la possibilità di allearsi con altre forze politiche e poi si presentano, nelle regioni chiave delle prossime elezioni regionali, in competizione con i loro alleati di governo? Di chi si stanno fidando Zingaretti, Renzi e Bersani?
C’è, infine, una considerazione di fondo che deve essere fatta. Il Paese è in apnea e si aspetta che la classe politica metta tutte le proprie energie nella definizione di un programma che sfrutti nel modo più rapido ed efficace le risorse che l’Europa ci mette a disposizione. Il vasto programma di riforme che dovrebbero accompagnare il taglio dei parlamentari costituirebbe un impegno onerosissimo per un Parlamento che dovrebbe occuparsi di rilanciare il Paese. Delle due l’una: o si procederà ad una stagione di riforme e si getteranno al vento gli aiuti europei; oppure le riforme che sarebbero necessarie non si faranno e saranno l’ennesimo specchietto per le allodole costruito dai Cinquestelle per ritardare il loro evidente declino, incuranti del fatto di aver gettato nel marasma le istituzioni proprio quando esse dovranno produrre il massimo sforzo di lungimiranza, efficienza e produttività.
È indispensabile votare NO al referendum.
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