Lettera da Parigi
Manca oramai solo un giorno all’insediamento ufficiale di Emmanuel Macron all’Eliseo ed all’avvio del suo secondo mandato presidenziale. La cerimonia, prevista per sabato mattina alle 11, sarà sobria ed ispirata ad un cerimoniale di portata ridotta all’essenziale, come si conviene ad una inedita riconduzione in tempi di crisi.
Tutto, nell’arco delle due settimane trascorse dalla vittoria del 24 aprile, va svolgendosi “controcorrente”, rispetto alle aspettative iniziali dell’opinione pubblica ed alle anticipazioni – rivelatesi ben meno precise dei sondaggi – martellate dai media sulla sollecita nomina del nuovo Governo e sulle alleanze politiche in vista delle legislative.
Il vincitore mantiene il suo proverbiale riserbo circa le prossime mosse che si accinge a compiere, dedicandosi a qualche “bagno di folla” a sorpresa ed al ritorno alle attività istituzionali, con il lungo colloquio telefonico con Putin e con varie iniziative di routine come due successivi Consigli dei Ministri o altre celebrazioni commemorative previste dall’agenda ordinaria.
Dal canto suo, Marine Le Pen è scomparsa dai radar mediatici e persino dal gossip politico, lasciando intendere che, dopo una pausa di riposo, si prefigge di riprendere la mano per la tornata elettorale di giugno, in splendido isolamento, quale titolare di un solitario ruolo di capo dell’opposizione.
Di questa inattesa tregua nell’agone politico sembra aver tratto vantaggio l’altrettanto sorprendente ed inaspettata iniziativa di Jean Luc Mélenchon che, con l’astuta spregiudicatezza propria alla sua rodata esperienza e alle sue qualità di tribuno, ha lanciato in grande stile la sua OPA sulla “gauche”: acquisita l’adesione dei comunisti, dei verdi e dei trotzkisti, è riuscito persino a concordare un’intesa con i suoi odiati ex confratelli del Partito Socialista (che gli organi collegiali si apprestano ad avallare in queste ore fra mille “mal di pancia”). La fondazione di questa nuova federazione della sinistra, denominata NUPES (Nuova Unione Popolare, Ecologista e Sociale), una sorta di “ammucchiata” fra eterogenee formazioni accomunate solo dall’orientamento genericamente progressista, dilaga su tutti i media che le riservano profluvi di analisi, commenti e febbrili e concitati contraddittori in diretta fra i vari protagonisti.
Sotto l’improbabile etichetta di “Mélenchon Primo Ministro” che compare con l’immagine del leader su migliaia di manifesti in tutto il Paese, nasce una formazione raccogliticcia, che sembra rispondere però, sia pur tardivamente, al corale appello all’unità profferito dal “popolo della sinistra” e al generico obiettivo di una forte rivalsa anti-macronista (per molti versi anti-sistema) da conseguire per mezzo della conquista di una maggioranza parlamentare.
Un misto di populismo e di radicalismo “nella lotta”, corretto però da un “obiettivo di governo”, del tutto estraneo finora alla tradizione francese, che aggiunge ai tanti problemi di funzionamento delle istituzioni della Quinta Repubblica, un terzo polo equivalente – anche se solo sulla carta – al 22% dell’elettorato conseguito dalla France Insoumise al primo turno delle Presidenziali, integrato dalla sommatoria delle modestissime percentuali ottenute dai vari partiti e movimenti di sinistra.
Su un punto centrale la mossa di Mélenchon (cui va riconosciuta una approfondita familiarità con le complesse alchimie del sistema maggioritario a doppio turno sui 577 collegi elettorali) si è sin d’ora tradotta in un successo. La ripartizione delle candidature, sia pur con sofferte forzature postulate da un patto leonino in suo favore, è stata convalidata da tutti gli aderenti che si dichiarano soddisfatti del bottino di seggi potenziali loro assegnati, e dei conseguenti affidamenti ottenuti sull’accesso che potranno assicurarsi all’altrettanto macchinoso dispositivo del finanziamento pubblico ai partiti.
Al di là di questi aspetti – percepiti anche dall’opinione pubblica come eminentemente legati alla vecchia politica “politicienne” – il resto rimane avvolto in una nebbia densa di contraddizioni e di sottaciuti spunti di dissenso; dal programma d’insieme (ed in particolare l’avversione ai Trattati UE, il nucleare, la riforma previdenziale, l’abbandono della Nato ed altre estremizzazioni per ora furbescamente nascoste con equilibrismi semantici sotto il tappeto), sino agli equilibri interni nella coalizione, la nuova Unione Popolare appare in stridente contrasto con tutti i grandi precedenti storici del passato, dal Front Populaire del 1936 alla Gauche plurielle di Jospin, senza dimenticare il vero successo del Programme Commun di Mitterrand.
Non ha sorpreso quindi nessuno la condanna sdegnata dell’intesa da parte di tutti o quasi i dirigenti storici dell’antico PS – da François Hollande all’ex Primo Ministro Cazeneuve – nella rivendicazione responsabile di un radicato orientamento social-democratico, svenduto dalla nuova generazione di giovani turchi per un piatto di lenticchie. I futuri assetti dell’Assemblea Nazionale, con la conservazione di distinti gruppi parlamentari per ciascuna componente dell’Unione che avrà conseguito almeno quindici eletti, rimangono appesi al filo delle contraddizioni programmatiche esistenti. Molti si affrettano fin d’ora a preconizzare che, con l’esplosione di tali macroscopiche differenze in Aula, la nuova Unione avrà vita breve. Ma tutti convengono nell’anticipare che la consistenza numerica dell’opposizione di sinistra federata potrà nominalmente risultare, se non maggioritaria, molto più rilevante che in passato; con l’effetto non secondario di relegare in secondo piano un eventuale gruppo parlamentare della destra estrema e di sfilare a Marine Le Pen l’agognato scettro di Capo dell’opposizione.
Al netto delle roboanti definizioni dell’intesa – dichiarata come storica, se non epocale dagli interessati – è indubbio che il quadro politico di insieme che si configura oggi, alla vigilia delle legislative, risulta radicalmente mutato.
A fronte di questo terremoto e dell’inquietante evoluzione della congiuntura economico-sociale ed internazionale, Il Presidente Macron sembra aver scelto la via della tergiversazione, tanto che alcuni gli attribuiscono in questa fase più l’attributo del “cunctator” che quello del temerario decisionista sinora prevalente.
Il Presidente prende tempo, in attesa che i cascami della fermentazione a sinistra si sedimentino, con i possibili, ulteriori “ralliements” al suo campo allargato di altre personalità politiche provenienti oltre che dagli spaesati gollisti soprattutto dal mondo della grande tradizione social-democratica e filo-europea, anche se non necessariamente portatori di voti e di possibili inversioni di tendenza nell’opinione pubblica, specie giovanile. Al tempo stesso, osserva con preoccupata cautela l’involuzione progressiva dei corpi intermedi ed il costante calo della rappresentatività dei sindacati, che un Primo Maggio in tono minore, se non per una ulteriore recrudescenza delle violenze di piazza, ha messo plasticamente in risalto.
La sua riflessione – destinata a durare ancora per giorni, secondo quanto fatto filtrare dalla sua “guardia ravvicinata” – rimane però vigile sui due fronti dalla elaborazione delle liste elettorali (cui veglia personalmente) e sul “casting” del futuro governo, un banco di prova molto atteso ad ogni esordio presidenziale nella Quinta Repubblica.
In entrambe le sfide, l’allargamento della potenziale “maggioranza presidenziale” rimane l’ostacolo più complesso per le accresciute ambizioni dei suoi sostenitori (ed in primo luogo quelle di Edouard Philippe) e per l’ambizione del rieletto Presidente di riuscire a lanciare, fin dalla designazione del nuovo (o nuova) Primo Ministro, un segnale emblematico di rinnovamento super partes per il prossimo quinquennio.
Un primo, significativo passo – ed una risposta particolarmente eloquente alla sfida di Mélenchon – è già arrivato con la costituzione della coalizione elettorale “Ensemble” tra le tre principali componenti di centro-destra, la République en Marche, il Modem di Bayrou e Horizons di Philippe, annunciata con accenti sereni e compiaciuti dai tre responsabili principali in una conferenza stampa congiunta assieme al cambiamento di nome della REM in “Renaissance” e alle principali candidature per le rispettive circoscrizioni: un significativo progresso per la definitiva chiusura delle liste della maggioranza presidenziale e una prima smentita dei presuntivi dissapori insorti da ultimo fra Edouard Philippe e il Presidente.
Rimangono da definire i contorni dell’allargamento a sinistra, in attesa dei posizionamenti tanto delle formazioni già aderenti al progetto presidenziale che dei nuovi, possibili arrivi di “transfughi” provenienti dal Partito Socialista, dopo la frattura provocata dall’adesione all’Unione Popolare di Mélenchon.
Ancora molto attesa ed ascritta al temporaggiamento di questi giorni la ripresa di iniziativa in Europa che molti immaginano tuttavia strettamente collegata – se non preliminarmente convenuta – con l’impostazione innovatrice del discorso del Presidente Draghi a Strasburgo.
l'Abate Galiani
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