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Neo-gollisti in corsa con Valérie Pécresse

Lettera da Parigi


Dopo le tante fibrillazioni dei mesi scorsi e le innumerevoli variazioni (quasi esclusivamente declinate sui leit-motiv dettati dagli ultra conservatori) il sostanziale “sur place” che aveva paradossalmente contrassegnato l’andamento della campagna elettorale sino all’autunno e la contrapposizione costante del Presidente uscente ad un ipotetico rivale dell’estrema destra ha conosciuto la scorsa settimana un’autentica svolta. Per merito, soprattutto, del chiarimento intervenuto con la designazione di Valérie Pécresse ad opera dei neo-gollisti quale candidata prescelta per la sfida dell’Eliseo.


L’affermazione netta della Presidente della Regione Ile de France (la più prospera e più rilevante del Paese) è giunta come una sorpresa, con la mortificante sconfitta dei favoriti della vigilia (ed in particolare Xavier Bertrand e Michel Barnier) ma con la contestuale, forte prestazione di Eric Ciotti: alla linea più conservatrice, da lui incarnata con costanti ammiccamenti alle lusinghe del catastrofismo sovranista di Zemmour e della Le Pen, è andata una percentuale tutt’altro che irrilevante delle preferenze dei militanti neo-gollisti (oltre il 40%) che peseranno come un macigno nella definizione delle direttrici verso la volata finale.

Per ora la parola d’ordine in seno a “les Républicains” è sbandierare la ritrovata unità, in nome dello slogan subito lanciato dalla candidata: “la droite est de retour”. E le ripetute iniziative adottate sul terreno e culminate nella adunata del Partito alla “Mutualité” (una sala ricca di simbolici ricordi ma, è stato osservato, preferita forse per la sua… limitata capienza) indicano, assieme alla determinazione e alla caparbia tenacia di Pécresse, anche una sua abile gestione della mediazione e un altrettanto abile ricorso alla cautela necessaria a tenere insieme anime ancora fortemente differenziate: prima fra tutte quella di impronta più chiaramente nazionalista, nell’arduo obiettivo di conciliarne la cifra di fondo, fra la tradizione neo-gollista e le irresistibili attrattive che le sirene populiste di Zemmour e Le Pen continuano a proporre all’elettorato francese.


Pécresse esce dalla prima settimana di formale insediamento quale riconosciuta prim’attrice del suo schieramento con un bilancio iniziale certamente positivo: ha mostrato di aver saputo abilmente cavalcare la dinamica in ascesa, corteggiando tutti i suoi ex-rivali, ma con un occhio di speciale riguardo per Ciotti, accogliendo in parte nel suo discorso di presentazione, le rivendicazioni di impronta più conservatrice e la retorica ridondante della grandeur e del ritorno alla primazia europea e mondiale della Francia.

I sondaggi della prima ora sembrano darle credito: non solo le attribuiscono una consistente quota aggiuntiva di consensi nelle dichiarate intenzioni di voto, ma sembrano indicarne la probabile, se non garantita, qualificazione al primo turno, con il superamento della quota minima intorno al 20% che le rivalità in seno alla destra ultra-conservatrice hanno contribuito ad abbassare considerevolmente.


A riprova che si “fa ormai sul serio”, compaiono anche i primi sondaggi su ipotetiche simulazioni del secondo turno, in cui Pécresse appare vicinissima al Presidente uscente in un ballottaggio che, secondo una parte dei sondaggisti, potrebbe addirittura vederla vincente, con un vantaggio per ora corrispondente al margine di errore.


Ma, insieme agli entusiasmi, cominciano a circolare le prime, ancora sottaciute riserve ed emergono con crescente frequenza le anticipazioni sugli ostacoli che attendono la candidata gollista nel suo percorso dei prossimi quatto mesi. In sordina, fra le prime voci apertamente critiche, provenienti soprattutto dall’ultra-destra, si sussurra con l’insistenza del “venticello” calunnioso di rossiniana memoria, l’epiteto “Pécresse- Traitresse”: non solo un riferimento ingiurioso, basato sull’assonanza, ma uno specifico “j’accuse” sui non pochi giri di valzer che nel corso di una carriera ormai pluridecennale hanno caratterizzato la evoluzione di Pécresse in seno alla famiglia gollista.


Si sottolinea in particolare come la candidata abbia di volta in volta abbracciato ai suoi esordi la linea del gollismo sociale e popolare di Chirac, per poi aprirsi alle istanze liberal-europee di Juppé; come abbia sottoscritto il pragmatismo volontarista (o velleitario?) di Sarkozy per poi schierarsi senza mezzi termini a fianco delle istanze più rigoriste e conservatrici di Fillon, di cui fu Ministra del Bilancio in piena crisi dei mercati finanziari e poi attivista di primo piano nella sfortunata campagna del 2017. Senza mai defilarsi da incarichi via via più rilevanti, sin dalla militanza iniziale nello schieramento agli importanti portafogli ministeriali ripetutamente rivestiti ed all’attuale presidenza della principale regione del Paese.


Sono temi, questi, che sembrano preannunciare una vera e propria campagna politica di sostanza e che ridanno, in qualche modo, respiro più alto e ritrovata dignità alla dialettica politica. Potrebbero in altre parole doversi confrontare due visioni certamente contrapposte, con punte polemiche anche aspre ma non inabituali nella vicenda democratica e nella tradizione della quinta repubblica francese; entrambe ancorate alla ragionevolezza “repubblicana”, come si dice qui, ed apertamente in contrasto con le spinte irrazionali (quando non subdolamente eversive) del sovranismo di estrema destra.


Ne saranno giudici, ancora una volta, gli elettori francesi. Più incerto e, in un certo senso preoccupante, al di fuori del perimetro dell’Esagono, rimane il tema dell’ancoraggio europeo. Un caposaldo cui Pécresse è apparsa per ora svogliata se non assente, preferendo cavalcare spregiudicatamente una tendenza involutiva della pubblica opinione nazionale che vede in costante decrescita la fiducia nell’Unione Europea e nell’evoluzione del progetto di integrazione al quale, con ferma coerenza, continua a far riferimento il Presidente uscente.


Per ora Macron tiene le carte coperte e prosegue, con olimpica serenità (almeno apparente), a conciliare la sua prevalente funzione presidenziale con discrete, ma incisive iniziative di stampo più elettoralistico. Persino i suoi sostenitori attendono che i giochi entrino nel vivo, probabilmente in attesa dell’evoluzione dell’incubo pandemico e dell’avvio delle "danze" vere e proprie a partire da gennaio, anche se autorevoli alleati come il Ministro dell’Economia Le Maire o il centrista Bayrou non hanno risparmiato nei giorni scorsi alcuni efficaci “affondi” riservati per ora all’estrema destra; ma con toni ed argomenti che sembravano costruiti a bella posta per essere intesi anche dal campo gollista.


l’Abate Galiani

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