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Pnrr, il capitolo Istruzione

L’istruzione è un capitolo importante del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Nel documento del Governo allo studio della Commissione europea vengono destinati al settore quasi 20 miliardi di euro. La priorità della preparazione e della formazione delle giovani generazioni è stata centrale sin dal discorso del Presidente del Consiglio Mario Draghi alle Camere per la presentazione del piano. È una priorità ineccepibile.

A riguardo, vale la pena di ricordare che nel secolo scorso due economisti di rango, che mai si sono incontrati o hanno letto l’uno i lavori dell’altro, l’americano Charles Kindleberger e l’ungherese Ferenc Janossy (neoclassico il primo, marxista il secondo), individuarono nella preparazione e formazione delle risorse umane italiane (mal utilizzata nei dieci anni circa di guerre, da quella d’Africa alla seconda guerra mondiale), la determinante principale del «miracolo economico». Allora erano risorse umane giovani, intraprendenti, formate in gran misura per la manifattura e pronte a spostarsi dal Sud al Nord od anche all’estero alla ricerca di un futuro migliore, la molla per lo sviluppo. L’alta qualità dell’istruzione e della formazione in Italia fu oggetto alla fine degli Anni Cinquanta di un importante studio dell’Unesco e pochi anni dopo di uno dell’Ocse, nonché una determinante della decisione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro di localizzare a Torino il proprio centro di formazione professionale.

Da allora ad ora, la situazione è drasticamente cambiata. Ogni anno, Education at Glance dell’Ocse e periodicamente le analisi di Ocse ed Unesco ci ricordano che siamo tra i primi in termini di tassi di abbandono e tra gli ultimi in termini di indicatori di apprendimento e di percentuale di laureati nella forza lavoro. Anche il contesto è mutato a cominciare dalla demografia. I giovani si trasferiscono meno volentieri dal Sud al Nord.

Le nuove generazioni non devono più essere preparate principalmente per l’industria manifatturiera ma per la tecnologia della scienza e dell’informazione: lo documentavano già circa venti anni fa due volumi della Scuola Nazionale d’Amministrazione, frutto di convegni internazionali a cui partecipò anche il Premio Nobel Lawrence Klein. Lo ripetono le analisi della Fondazione Agnelli, che, guidata da Andrea Gavosto, studia da anni il problema. Lo sottolineano numerosi approfondimenti di docenti universitari che si dedicano specialmente all’economia dell’istruzione. Lo stesso Ministro Patrizio Bianchi, dopo essersi dedicato per anni all’economia industriale, ha indirizzato le sue ricerche al nesso tra istruzione e crescita, e nella sua attività di servizio pubblico è stato assessore regionale all’Innovazione per due mandati in Emilia-Romagna.

Tutto ciò indica che si sarebbe potuto preparare un documento progettuale di alta qualità, anche se il Ministro ha assunto la responsabilità del dicastero solo poche settimane prima della presentazione del documento a Bruxelles ed ha trovato il testo e le schede progettuali già redatte sotto la guida del suo predecessore.

Il capitolo del Pnrr dedicato all’istruzione, ed ancor più le schede, sono deludenti e richiederanno probabilmente revisione ed approfondimenti. Sotto il profilo delle «riforme» le idee di base sono ineccepibili: a) aumentare i contenuti di scienza e tecnologia nei programmi e b) rendere più equo l’accesso ai vari livelli d’istruzione. Tuttavia, gli strumenti indicati sono in gran misura piuttosto nebulosi. È chiaro il programma di edilizia scolastica per mettere «a norma» e rendere «ecocompatibili» gli istituti di ogni ordine e grado: è la prosecuzione di un programma iniziato circa sette anni fa ed allora pomposamente chiamato «la buona scuola». È anche abbastanza chiaro il programma per aggiornare e migliorare gli istituti tecnici di Stato. È indubbiamente giustificato un programma per dare ai presidi formazione in materia manageriale, ma non si capisce perché si debba creare un’apposita Agenzia sotto l’egida del Ministero e non si utilizzino invece le strutture esistenti quali quelle della Scuola Nazionale d’Amministrazione. Analogamente, è davvero necessario imbarcarsi nella costruzione di alloggi universitari, tanto più che il documento prevede un ampio uso di didattica a distanza (e l’acquisto della strumentazione necessaria)? E il vasto schema di maggiore diffusione di «scuole materne» è accompagnato da programmi di formazione per i docenti?

A questi interrogativi non secondari se ne aggiunge uno di fondo. Circa la metà delle risorse richieste all’Unione europea sono per spese considerate nelle regole della contabilità pubblica «di parte corrente» (borse di studio, di dottorato, di ricerca, stipendi ecc.). Ciò avviene spesso in programmi d’istruzione. Tuttavia, l’Istituto Internazionale per la Programmazione dell’Istruzione, con sede a Parigi, da circa cinquanta anni ha fornito direttive per distinguere tra le spese «di parte corrente» sotto il profilo contabile quelle che possono essere considerate spese di investimento ai fini di una corretta analisi micro-economica. Anche in questo campo, due «maestri» (il neoclassico Hans Thias ed il marxista Martin Carnoy) convergono. Sarebbe opportuno riorganizzare le «schede» allegate al Pnrr in veri e propri progetti da sottoporre ad analisi economica. Al fine di rassicurare in primo luogo il Ministero che le risorse richieste verranno impiegate in modo efficiente.


Bagehot


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