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Polvere di (5)Stelle

Per l’Italia i mesi a venire saranno cruciali. O troveremo la via della ripresa o il nostro Paese scivolerà, e nemmeno tanto lentamente, in una condizione di progressivo impoverimento, uscendo dal novero delle nazioni più sviluppate e sperperando i risultati ottenuti per merito di diverse generazioni di italiani.

Il Commento Politico è convinto che gli unici strumenti in grado di risollevarci da questa crisi epocale generata dall’epidemia – e cioè le risorse che l’Europa sembra volerci mettere a disposizione – non debbano essere sprecate e che anzi il governo debba dotarsi, senza rinvii, di programmi e procedure all’altezza del compito.

Ma non ci sfugge che se è necessario mettere in campo, già da oggi e meglio, idee e metodi adeguati alla sfida, ciononostante i fondi europei restano ancora sub iudice nella qualità e nella quantità. Siamo nel mezzo di un negoziato difficile che non si concluderà prima della fine di luglio ed a cui l’Italia deve partecipare con la massima autorevolezza possibile.

Siamo certi che la gran parte degli italiani abbia la nostra stessa consapevolezza.

Il governo in carica – piaccia o meno - è sorretto da una maggioranza composita, costituitasi quasi per caso in Parlamento dopo le inattese ed autolesionistiche posizioni assunte nell’agosto scorso dall’onorevole Salvini. Questa maggioranza, alle Camere si fonda numericamente, che vuol dire anche principalmente, sui parlamentari del Movimento Cinquestelle. La solidità politica del Movimento costituisce quindi la condizione perché l’Italia possa uscire positivamente dalle sabbie mobili.

Mario Ajello sul Messaggero di oggi scrive però un articolo che, sullo stesso tono di altri pubblicati da diversi giornali nei giorni scorsi, si intitola: “Movimento Cinquestelle in frantumi”.

Chi sta mettendo in crisi il partito cardine della maggioranza che sostiene un governo chiamato al più cruciale appuntamento dalla fine della seconda guerra mondiale? Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista, e cioè i propugnatori ad oltranza dell’attacco alla democrazia rappresentativa, i custodi della piattaforma Rousseau, gli ultimi ancora convinti che il Parlamento sia una scatola di tonno da aprire anche stando al governo. Anche, cioè, se questo atteggiamento impedisce all’esecutivo di fare gli interessi del Paese nel momento più difficile della storia repubblicana.

La presa di questi due leaders sul M5S si è molto ridotta rispetto a quando il Movimento costrinse prima la Lega e poi il Pd ad accettare una cervellotica riforma del numero dei parlamentari come condizione imprescindibile per la formazione dei governi Conte uno e due. Ma l’evocazione di una battaglia delle origini, di quando cioè il Movimento era puro e non contaminato dai compromessi che la gestione del potere inevitabilmente comporta, costituisce una sorta di richiamo della foresta. Non conta, per i Cinquestelle, che le motivazioni che stanno alla base di questa loro logora bandiera costituiscano un attacco all’unica democrazia possibile, quella parlamentare, e che gli argomenti portati a favore di questa discutibile riforma si basino su dati infondati. Conta cercare di mantenere il consenso su un tema di facile presa su un’opinione pubblica smarrita dopo tanti anni di cattiva politica e spinta a gettare sulle istituzioni la responsabilità di politiche insufficienti e fallimentari.

Il referendum sul taglio dei parlamentari può costituire un punto di svolta: in un senso o nell’altro. Con i nostri commenti abbiamo già portato all’attenzione di chi ci segue le motivazioni politiche del NO. Anche Giancarlo Tartaglia e Antonio Malaschini, con i loro contributi, hanno evidenziato i vulnus operativi che la riforma infliggerebbe al Parlamento, e in particolare al Senato, per di più in un momento in cui alle Camere va richiesta la massima capacità di condividere efficacemente con il governo la responsabilità delle modifiche degli assetti legislativi e finanziari di cui il Paese necessita.

È ora tempo di fare un altro passo e dire con chiarezza che la riduzione del numero dei parlamentari non costituisce, se non in misura irrisoria, né un sollievo per le casse dello Stato, né un adeguamento del numero dei nostri decisori politici a quello degli altri Paesi europei. È vero anzi il contrario e lo dimostreremo nei prossimi giorni, dati alla mano.

Resta una domanda di fondo che gli elettori non possono non farsi. Al di là delle battaglie di finti descamisados, chi trae giovamento dall’indebolimento della principale istituzione di una democrazia? I cittadini, di qualunque orientamento politico essi siano, o i gruppi di interessi più forti, sia interni che internazionali?

Sappiamo che si tratta di una sfida difficile. Ma siamo convinti del fatto che se gli italiani, a partire dalle classi dirigenti, vorranno trovare il tempo per prestare un ascolto più attento, una battaglia da molti considerata persa in partenza possa trasformarsi in una partita altamente contendibile.

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