Lettera da Parigi
Neppure i preoccupanti sviluppi della pandemia, che minacciano anche in Francia una forte recrudescenza del morbo, distolgono l’attenzione dei commentatori dalla campagna presidenziale, argomento centrale di ogni analisi e dibattito. E i riflettori rimangono prevalentemente puntati sulla destra. Viene dato ormai per scontato che tutto ciò che accade a sinistra ne rilevi quasi la “morte cerebrale”.
In attesa che risuoni il gong per il suo avvio ufficiale, il ritmo della campagna è scandito dall’incalzare dei sondaggi. Dalle intenzioni di voto raccolte ad oggi, si evince la conferma delle grandi linee di tendenza emerse nel corso dell’estate, che conoscono per ora limitate ed ondivaghe variazioni solo all’interno di ciascuno schieramento e non sembrano intaccare l’equilibrio complessivo dei rapporti di forza.
Si tratta però di un contesto generale che si infragilisce di giorno in giorno, ed il ritorno dell’incubo sanitario, l’aggravamento della crisi migratoria, l’aumento del costo dell’energia e dell’inflazione in genere, la precarietà della sicurezza nei centri urbani degradati, incidono su una società profondamente lacerata e quindi suscettibile di rivolgimenti repentini e per lo più imprevedibili.
Tutto ciò plana come un’ombra inquietante su un consuntivo pre-elettorale che potrebbe considerarsi in assoluto decisamente positivo per il Presidente uscente e per il suo Governo. Ma che appare difficile sbandierare con trionfalismo eccessivo, a fronte di una “percezione” diffusa di insoddisfazione e di ansiogeno malessere, cui fa riscontro per ora l’inespressa opinione di una “maggioranza silenziosa” che rimane consistente ma che fatica ad emergere.
Il quadro di insieme è chiaro: da un lato, il blocco più consistente, tanto in termini numerici che di popolarità, rimane quello del centro, schierato attorno al Presidente Macron ed al coacervo dei suoi sostenitori, con una base di dichiarate intenzioni di voto che va da un minimo consolidato del 25 sino a sfiorare il 30 %, e che dà quindi l’ “incumbent” comunque in testa al primo turno. Segue in tutte le rilevazioni la destra ultra-conservatrice, con percentuali fra il 16 ed il 18%, a seconda che a guidarla sia Marine Le Pen o Eric Zemmour, mentre le quote raggiunte da ciascuno degli esponenti del balcanizzato schieramento della sinistra (più di cinque candidati dichiarati) si prestano ormai ad aperta irrisione e suscitano amare e sconsolate riflessioni nell’intellighenzia e nell’influente mondo della carta stampata.
La destra neo-gollista, che può ancor oggi rivendicare il titolo di primo partito nel Paese, è dal canto suo intrappolata nel laborioso processo di selezione del suo “campione” che si concluderà il 4 dicembre prossimo con la votazione di oltre centomila delegati al Congresso straordinario in corso. Almeno per ora e malgrado il lancio in grande stile di una serie di dibattiti fra i cinque aspiranti, nessuno di loro sembra raccogliere nei sondaggi più del 15%, percentuale non sufficiente per un possibile accesso al secondo turno. In casa gollista, si spera tuttavia che con la proclamazione del vincitore interno potrà innescarsi una dinamica nuova, tale da condurre il Paese ad un duello finale con il Presidente uscente.
Rimane infine l’incognita dell’astensione e del voto di protesta, un dato che per la prima volta inquieta tutti i contendenti, per lo più smarriti ed apparentemente disarmati a fronte della crescente disaffezione per la politica, che va qui configurandosi sempre più come un’autentica patologia del funzionamento e della stessa vita della democrazia. Un dato esposto agli umori di una società ostica a qualsiasi mediazione propria delle dinamiche tradizionali un tempo affidate all’associazionismo, ai sindacati ed ai partiti, come continuano ad indicare le variegate e variopinte manifestazioni di piazza degli anti-vaccino.
Più che altrove, in Francia questa situazione di “crisi della politica” si accompagna ad una crescente consapevolezza dell’imperfetto funzionamento della stessa macchina istituzionale. E, ancor più, dei limiti di una architettura costituzionale che ha, anche per effetto della legge elettorale vigente, fortemente indebolito il corretto dispiegarsi di un efficace dispositivo di “check and balance”. Il Parlamento è di fatto relegato ad un ruolo subordinato, ravvivando la frustrazione dell’elettorato che non si sente più garantito da efficaci ed equilibrate forme di rappresentanza.
Prevale l’ostilità a qualsiasi forma di dialogo operativo e di compromesso o di trattativa fra parti opposte, liquidati alla stregua di combinazioni o di inciuci “all’italiana”. Si invocano improbabili soluzioni di tipo plebiscitario per addivenire ad altrettanto impraticabili forme di democrazia diretta. Pochi sono coloro che osano denunciare apertamente le imperfezioni sistemiche della Quinta Repubblica, ma è ormai sempre più diffusa la convinzione che per porre rimedio alla diffusa disaffezione dalla politica occorra proporre nuove misure e nuove idee: nel breve periodo, anche e soprattutto per scongiurare una seconda ondata popolare animata dai “gilet gialli” che riappaiono (per ora sporadicamente) ogni qualvolta ci sia da menar le mani in piazza.
In questa cornice, si collocano le poche novità in seno agli schieramenti. La più significativa riguarda la prima inversione di tendenza nella parabola, sino ad una settimana fa in costante ascesa, di Eric Zemmour. In pochi giorni il “guastafeste” dell’ultra-destra ha visto i suoi consensi erodersi di qualche punto percentuale, in simmetria con un recupero di adesioni nel campo della Le Pen. E questo sia per il monotematico martellamento sul tema dell’immigrazione, così ripetitivo e logoro che lo ha indotto, in un crescendo esasperato, a puntare il dito contro Hollande e comunque contro il potere costituito per asserite negligenze “criminali” nella lotta al terrorismo, proprio in coincidenza con le drammatiche sequenze del processo agli attentatori del Bataclan e con le cerimonie commemorative delle vittime tenutesi in questi giorni a Parigi. Sia per la crescente indignazione, tanto a destra come a sinistra, per la crudezza delle espressioni usate (come l’elogio del coraggio fisico dei terroristi islamici) in una pervicace difesa delle sue tesi più estreme, dalla parziale rivalutazione del petainismo sino agli attacchi al femminismo e alla parità uomo-donna. Se ne deve essere avveduto persino il suo principale sostenitore, se il gruppo Bolloré ha via via introdotto qualche nota di cautela nella martellante azione di supporto quotidianamente dispiegata da CNews, con aperte critiche al polemista proprio nel momento in cui la rete si appresta ad ospitare il terzo e forse cruciale dibattito a cinque fra i pretendenti alla nomination gollista alla vigilia del voto congressuale.
Una gara ancora in corso, quest'ultima, che non sembra appassionare il grande pubblico anche perché giocata tutta sulle “surenchères” di chi la spara più grossa in termini di promesse, nella duplice strategia di sottrarre voti agli ultraconservatori e di minare l’attendibilità del consuntivo economico-sociale dell’Esecutivo uscente.
Marine Le Pen sembra riprendere fiato; e con una tenacia ed un fiuto politico che le vanno riconosciuti, spazia su tutte le tematiche care al Rassemblement National. Con la sua nuova tecnica di “comunicazione” ingentilita punta ad apparire più “presidenziabile” di un pestifero “Giamburrasca” del radicalismo identitario e nazionalista, quale si va sempre più configurando Eric Zemmour.
Apparentemente olimpico, il Presidente Macron va pazientemente scoprendo, una dopo l’altra, le tessere del mosaico che dovrà costituire la sua seconda piattaforma elettorale. Dal bilancio “in rosa” di un considerevole rasserenamento sul fronte dell’occupazione e della crescita del Pil, alle misure tanto di breve come di medio e lungo periodo in materia energetica, con l’annuncio della ripresa del nucleare (anche nella prospettiva di un lancio della filiera dell’idrogeno), alle iniziative a favore degli investimenti e a difesa dell’industria nazionale ed europea. Senza dimenticare la capillare azione di “rassemblement” dei suoi sostenitori, in un paziente quanto riservato lavoro di tessitura di alleanze e di sodalizi, sia con i più significativi tra i suoi Ministri (come Bruno Le Maire), sia con antichi e nuovi sodali (il centrista Bayrou e il gollista Edouard Philippe); non dimenticando i cosiddetti “eletti locali”, con l’attenzione riservata proprio in questi giorni all’Assemblea Generale dei Sindaci di Francia.
Dall’opposizione, si lamenta che il Presidente continui a mantenere il riserbo sull’annuncio formale della sua ricandidatura e lo si accusa più o meno apertamente di sfruttare, a fini di spazio di manovra e di parola, la sua duplice funzione di Capo dello Stato in esercizio e di aspirante alla sua rielezione. Ma i “precedenti” sono tutti in suo favore; nessuno dei suoi predecessori si “dichiarò” con un anticipo superiore a poche settimane.
Inoltre, mai come in questo momento, l’attualità internazionale va impegnando Emmanuel Macron, permettendogli di esplicitare i suoi convincimenti ed i suoi progetti, fondati sul rafforzamento e la riarticolazione dell’integrazione europea. La prossima scadenza riguarda la firma a Roma del Trattato del Quirinale, un’occasione preziosa per un ulteriore progresso dell’allargamento dell’asse centrale, con Berlino, alle sponde mediterranee di Roma e di Madrid e per le nuove sfide da affrontare, quali quella cruciale (ed ardua) della difesa europea.
Insomma, il percorso elettorale prosegue in Francia fra molte sfide incombenti e all’insegna di una perdurante incertezza, prima fra tutte la lotta al virus. Anche posizioni e convinzioni consolidate potrebbero vacillare da un momento all’altro.
l’Abate Galiani
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