Solo due partiti hanno sostenuto senza se e senza ma la riduzione del numero dei parlamentari: i 5stelle e i Fratelli d’Italia. I 5stelle l’hanno presentata come una delle loro iniziative, dopo il successo nelle elezioni del 2018, in cui si concretizzava la loro lotta contro la casta politico-parlamentare. Il partito della on. Meloni invece ha colto in quella proposta una musica cara alle loro orecchie che viene da lontano. Per la Lega e per il PD, il sì è derivato dalla condizione posta loro dai 5stelle nella trattativa per la formazione del governo gialloverde prima e rossoverde poi. Forza Italia, Leu, +Europa, non condividendo nel merito la proposta costituzionale e non essendo vincolati da un patto di governo, sono stati e sono liberi, come ha fatto ieri Berlusconi, di manifestare tutte le loro perplessità e sostanzialmente di annunciare un voto contrario.
In realtà, non esistono e non sono mai state offerte motivazioni convincenti di merito a favore di questa riforma. Le sole motivazioni sono quelle schiettamente antiparlamentari che ispirano i 5stelle e i Fratelli d’Italia. Come tali, queste motivazioni dovrebbero non solo indurre tutti gli altri a votare NO, ma convincerli a una battaglia frontale contro il più violento ed esplicito attacco alla democrazia parlamentare scatenato negli anni. Si può essere stati contrari ad altri progetti di riforma costituzionale presentati in passato - noi ad esempio siamo stati fermamente per il NO alla riforma proposta da Matteo Renzi - ma l'opposizione derivava da un dissenso nel merito di queste proposte, non dal fatto che esse fossero espressione di un animus contrario alla democrazia parlamentare in quanto tale.
Vi sono state in questi giorni diverse pronunce favorevoli al Si nel referendum da parte di esponenti del PD o di giuristi che in passato si erano espressi contro altri progetti di riforma costituzionale. Ma vale la pena di osservare che nessuno di coloro i quali sono intervenuti si è pronunciato a favore della riforma in quanto tale. Tutti hanno invece fatto riferimento a un più ampio disegno di riorganizzazione istituzionale di cui la riduzione del numero dei parlamentari farebbe, a loro avviso, parte. Anche il sorprendente sì annunziato dalla professoressa Carlassare, che fu in prima linea nella battaglia per il NO ai precedenti referendum costituzionali, non è stato motivato da un consenso alla riforma in quanto tale, ma dalla convinzione che l’approvazione della riforma Di Maio-Meloni obbligherebbe il Parlamento ad adottare una legge elettorale proporzionale che la professoressa Carlassare giudica più conforme alla nostra Costituzione. Il sì sarebbe dunque strumentale all'introduzione di una legge ordinaria giudicata rilevante per la democrazia italiana.
Circa queste argomentazioni, quelle dei favorevoli al sì come parte di un più vasto riassetto costituzionale e parlamentare e quelle favorevoli in quanto stimolo al ritorno al proporzionale, noi ci limitiamo ad osservare che il giudizio sulle proposte di legge - e tanto più i giudizi popolari su un testo di riforma costituzionale - debbono fondarsi su una valutazione di merito di quei testi, non in rapporto ad altre riforme costituzionali o a leggi elettorali che possano eventualmente intervenire. Nulla, infatti, vincola un Parlamento ad adottare leggi ordinarie o costituzionali rese necessarie auspicabili dalla approvazione definitiva di una qualche legge ordinaria o costituzionale.
Ed appare particolarmente dubbio - vorremmo dire alla professoressa Carlassare – che, all’indomani di una riforma costituzionale come questa, possa passare in Parlamento una nuova legge elettorale che a quel punto troverà sulla sua strada l'ostacolo non solo dell’opposizione, ma probabilmente anche dell’ostruzionismo delle destre che avrebbero dalla combinazione della nuova norma costituzionale con la legge elettorale esistente la possibilità concreta di ottenere una maggioranza molto larga in ambedue le Camere, tanto da potere modificare senza l'apporto delle opposizioni la Costituzione e da eleggere da sole il nuovo capo dello Stato. A questo, aggiungeremmo per la professoressa Carlassare, i dubbi di quella parte del PD che non ha mai nascosto la preferenza per un sistema elettorale maggioritario e che non tarderanno a riemergere all'indomani del 20 settembre, specialmente se il sì dovesse prevalere.
Dunque la domanda essenziale che ci si deve porre non è se un minor numero di parlamentari più un sistema elettorale proporzionale, più nuove leggi sull'età per il voto del Senato, più una nuova legge sulle elezioni del Presidente della Repubblica, più nuovi regolamenti della Camera e del Senato, più tante altre cose sia o non sia meglio del sistema attuale, bensì se il sistema costituzionale e giuridico e la situazione politica del Paese, quale esso è oggi, migliorerebbero o peggiorerebbero qualora il referendum vedesse prevalere i sì. E poiché solo la coppia Di Maio-Meloni si sente di sostenerlo, il NO dovrebbe convincere tutti gli altri, anche quelli che in astratto apprezzerebbero, nel quadro di una più ampia riforma costituzionale, istituzionale o elettorale, la riduzione del numero dei parlamentari.
Dunque il tema non sono le vaste riforme di cui la legge Di Maio-Meloni sarebbe l’antipasto, ma la legge in quanto tale che premierebbe il radicalismo antiparlamentare dei 5stelle e dell’estrema destra. Si vuole questo risultato? E perché?
A destra, dove i sondaggi indicano l’on. Meloni come l’astro nascente, Berlusconi e Salvini vogliono promuoverne l’ulteriore avanzamento? E a sinistra, il PD pensa forse che dopo la smagliante vittoria dei 5stelle prima maniera, sarà più facile governare con loro? Verrà il sì al MES che chiede Gualtieri o le grandi infrastrutture cui pensa il PD o gli investimenti?
Dopo la famosa consultazione della piattaforma Rousseau che doveva aprire alle alleanze fra 5stelle e PD nelle elezioni locali, molti osservatori hanno scritto che finalmente i 5stelle stavano diventando adulti. La vittoria al referendum aiuterebbe questa maturazione o sarebbe per i 5stelle un ritorno al passato: la prova che la loro salvezza sta nelle battaglie originarie, quelle della lotta contro la casta democratico-parlamentare? E dunque anche il severo prezzo pagato alla maturazione dei 5stelle, dal reddito di cittadinanza, alle leggi sulla sicurezza che non a caso non si riescono a cambiare, sarebbe stato pagato invano.
Ecco - ad avviso de Il Commento Politico - il vero enjeu del referendum sul taglio dei parlamentari. E finalmente, a poco a poco, giorno dopo giorno, esso sta venendo alla luce. Speriamo che non sia già troppo tardi.
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