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La cura Biden per l'economia Usa

Lettera da Washington


Per essere “una piccola influenza”, come disse memorabilmente Trump un anno fa, il bilancio finale del COVID, quando ci sarà, potrebbe evidenziare conseguenze in America più profonde di quelle che già si intravedono, conducendo a un diverso rapporto tra spesa pubblica e PIL e consacrando un modesto distanziamento dalla “supply side economics”.

L’amministrazione Biden è riuscita a far approvare dal Congresso uno stanziamento che - sommato a quelli già disposti da Trump nei mesi scorsi, in parte ancora da spendere - porta la spesa pubblica a livelli straordinari ma va incontro alle preoccupazioni di molti americani che soffrono gli effetti sociali ed economici della pandemia. Il nuovo stanziamento di 1,9 trilioni di dollari ha aggiunto al bilancio federale una spesa straordinaria che nel corso di un anno ha raggiunto quasi 6 trilioni di dollari. È un valore pari a un terzo del PIL annuale, una percentuale seconda solo al 50% toccato negli anni della seconda guerra mondiale, quando l’America finanziava lo sforzo bellico per sé e per gli alleati, e il PIL degli Stati Uniti rappresentava da solo la metà del PIL mondiale.

Un precedente più comparabile si trova peraltro nell’impennata registrata durante la crisi degli anni ’30, che vide il “New Deal” di Roosevelt, con la nascita dell’America suburbana e dei tre grandi programmi sociali americani che resistono tuttora. Roosevelt ebbe successo: invece di essere trascinata nella lotta interna e nell’incertezza, l’America ha usato gli anni del New Deal per cementare il consenso nazionale e creare una infrastruttura nazionale che le ha poi permesso di affrontare guerre, tifoni e carestie fino ai giorni nostri. Ma soprattutto il lascito del New Deal è stato di aver dato forma alla nazione in un modo che non è ancora tramontato, anche se stenta ad assorbire i profondi cambiamenti demografici intervenuti e il loro contrasto con il torpore della mobilità sociale. Frammenti di uguaglianza si sono diffusi attraverso gli strati sociali e attraverso le etnie non cancellate dal “melting pot” americano, ma il paese nel suo insieme resta ancora sul ciglio di una piena reciproca accettazione, alla quale le generazioni giovani sono ormai vicine. Se questa ondata di intervento statale espanderà le opportunità offerte ai cittadini, consacrerà anche una società più aperta, in senso inverso alla rivoluzione reaganiana degli anni ’80, ed è ciò che è lecito attendersi da una amministrazione Democratica.

Ora, come novant’anni fa con FDR, Franklin Delano Roosevelt, la nuova crisi viene affrontata con una poderosa iniezione di liquidità, mentre gli americani si vaccinano e guardano alla pandemia con la speranza che il peggio sia passato. Anche la cura per la nazione è in due dosi come per il COVID, ma le due dosi sono due vaccini differenti. Lo stanziamento dell’anno scorso è stato configurato nell’ortodossia del conservatorismo americano: in caso di dubbio, tagliare le tasse, e la mano invisibile del mercato farà il resto. Tipicamente, ciò si riflette in un aumento dei risparmi, quindi degli investimenti. Il vaccino di Biden, invece, tende ad agire direttamente sui redditi delle famiglie, contando che vengano spesi anziché tesaurizzati, creando domanda, quindi opportunità di lavoro; il presupposto è che la disoccupazione non sia dovuta alla mancanza di investimenti, bensì al declino della domanda in conseguenza delle restrizioni imposte dalle misure sanitarie e dalla pandemia stessa. Le due tesi, in successione anziché in alternativa, potrebbero anche aver successo.

Nonostante ciò, il passaggio dello stanziamento è avvenuto ancora una volta su strette linee di partito. Da parte repubblicana si sarebbe preferito restare alle cifre approvate sotto la loro gestione, in parte non ancora spese, e non si nutriva interesse per un pacchetto che avrebbe aggravato il deficit (già gonfiato negli anni scorsi) e che certamente i Democratici sfrutteranno politicamente nel prossimo avvenire.

In effetti il provvedimento comprende sussidi di disoccupazione federali in aggiunta a quelli stanziati dai singoli stati, e sussidi aggiuntivi per coprire le rate dell’assicurazione sanitaria (che in America è collegata all’impiego: chi perde il lavoro, perde anche la copertura); sussidi diretti ai cittadini con redditi inferiori a un livello predeterminato; finanziamenti a favore delle amministrazioni locali, la cui base fiscale si è ridotta fortemente a causa della perdita di posti di lavoro; sussidi al sistema scolastico ed educativo, per consentire l’adozione di misure dirette a diminuire il rischio di contagio; sussidi ad esercizi aperti al pubblico come ristoranti e bar, costretti dalla pandemia a misure che ne hanno annullato o ristretto la capacità di ricezione; fondi per espandere il sistema di controllo della pandemia, finanziando centri di vaccinazione e di accertamento; altri fondi per ridurre il costo della spesa sanitaria che rimane a carico dei cittadini; e infine l’immancabile riduzione del carico fiscale per le famiglie. È una agenda comprensiva, e nell’insieme positiva, specialmente se sarà possibile tener fede alla promessa di completare il ciclo della vaccinazione nell’intero paese entro il mese di maggio.

Resta ora l’attesa per una indicazione programmatica del governo che vada al di là della lotta alla pandemia e del soccorso alle famiglie; ciò include la probabilità che l’amministrazione nelle prossime settimane voglia tratteggiare una sua visione del futuro più vasta ed articolata della contingenza che stiamo attraversando nelle prime settimane dell’era quasi dopo Trump, grazie alle elezioni, e quasi dopo COVID, grazie ai vaccini.

La Casa Bianca ha incoraggiato da tempo l’aspettativa che entro il mese avrebbe avuto luogo l’equivalente del discorso sullo stato dell’Unione, che sarebbe l’occasione ideale per presentare alla nazione la visione del governo per il quadriennio, ma non c’è ancora una data. Si era detto dopo la firma del programma di congiuntura, e ora sarebbe il momento.


Franklin


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