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Recovery Fund: l'impostazione italiana non convince l'Europa

Sono ormai cinque mesi da quando Il Commento Politico ha scritto per la prima volta che l’Italia si doveva dotare di una struttura straordinaria istituita ad hoc per l’individuazione dei progetti da realizzare con i fondi europei del Next Generation Eu, che questa struttura doveva essere guidata da una personalità autorevole in grado di interloquire stabilmente con l’Europa, doveva essere dotata di una struttura tecnica di elevata qualità, doveva individuare i progetti meritevoli di essere realizzati e procedere alla loro esecuzione. Insomma, il modello che ritenevamo indispensabile adottare per rilanciare l’Italia dopo la pandemia era quello della Tennessee Valley Authority di Roosevelt o della Cassa per il Mezzogiorno prima maniera. Non ci siamo limitati solo a un articolo, abbiamo seguito sistematicamente tutta l’evoluzione del dibattito. Giorgio La Malfa, che è uno dei redattori del Commento Politico, ne ha scritto più volte su diversi giornali cercando di promuovere un dibattito fra gli economisti e di alimentare l’attenzione su questa questione vitale per il futuro del Paese.

Abbiamo seguito passo dopo passo l’azione del governo su questo dossier, dovendo registrare che esso sembrava orientato a seguire una impostazione più tradizionale. Invece di centralizzare la preparazione e l’esecuzione del piano, il governo ha sollecitato le diverse amministrazioni a presentare dei loro progetti; ne ha raccolti oltre seicento ed ha dovuto constatare che essi assorbivano un volume di risorse ben superiore a quelle che il Next generation Eu potrà metterci a disposizione. Dunque una falsa partenza.

Subito dopo il governo ha dichiarato che la sede di coordinamento era stata individuata nel CIAE, il Comitato dei Ministri per Gli Affari Europei. Il Commento Politico ha subito sottolineato che il CIAE non avrebbe potuto svolgere questa funzione perché esso non dispone di alcuna struttura tecnica in grado di valutare i progetti. In effetti, il CIAE ha prodotto un documento generico di indicazione dei grandi settori di intervento e poi è silenziosamente uscito di scena. A settembre, in risposta a una sollecitazione del presidente della Confindustria, l’esecutivo è sembrato indicare una strada diversa: ha dichiarato che si preparava a istituire uno “strumento normativo” ad hoc per la realizzazione del piano. Poteva essere il segnale che il governo si era reso conto della necessità di una visione ampia del progetto italiano di utilizzazione dei fondi europei. Invece, quando lo strumento normativo si è materializzato nel progetto della legge di bilancio, si è visto che si tratterebbe non di una struttura unitaria di realizzazione, ma solo di una struttura tecnica per il monitoraggio delle attività “delle amministrazioni e degli organismi titolari dei progetti finanziati”.

Dunque il governo ha esitato a lungo, ma sostanzialmente ha respinto del tutto l’impostazione che avevamo proposto.

Ora però la sua situazione si complica, perché evidentemente la Commissione europea, che aveva già dato dei segnali di preoccupazione attraverso le interviste del Commissario Gentiloni, ha deciso di mettere per iscritto i suoi dubbi. Federico Fubini sul Corriere della Sera di stamane dà ampia notizia di un paper, scritto dal capo di Gabinetto del Commissario Gentiloni e da un autorevole economista vicino agli ambienti del Pd come Marcello Messori, nel quale si legge esplicitamente che serve per il Recovery Fund italiano “una cabina di regia centrale” in grado di interloquire con l’Europa. I due autori aggiungono che questa cabina di regia deve essere dotata di una struttura tecnica e soprattutto – questa è la presa di posizione più significativa - che i progetti debbono essere individuati dall’alto con “un approccio top down”. Il governo riceve così un’indicazione che la sua impostazione non convince affatto Bruxelles e forse non convince nemmeno la sua stessa maggioranza.

Contemporaneamente, in una lettera allo stesso Corriere della Sera, Goffredo Bettini scrive che, di fronte alla pandemia, “si tratta di chiamare all’interno dell’esecutivo le energie migliori e necessarie in grado di offrire insieme a Conte un punto di riferimento indiscusso all’Italia e alla Repubblica così scosse e provate.”

Dunque, nel giorno in cui si appresta a varare il proprio progetto di legge di bilancio, il governo introduce una normativa sulla gestione del Recovery Fund che, non più solo noi, ma voci autorevoli a livello europeo e a livello italiano considerano totalmente insufficiente.

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