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Teste di cuoio e stretta securitaria in Francia

Lettera da Parigi


Chi segue in diretta le notizie di attualità in Francia, ha potuto negli ultimi tempi assistere, quasi come in una serie poliziesca, a fatti di cronaca nera particolarmente eclatanti, con il loro corredo di aggressioni, talvolta mortali, e di complessi interventi sul terreno con un dispiegamento delle Forze dell’Ordine davvero senza precedenti.

Tutte le principali emittenti hanno compiuto la scelta editoriale di trasmettere in via continuativa dei veri e propri “feuilletons” centrati su altrettante vicende di violenza e di conflitti a fuoco degni del grande banditismo americano all’epoca del proibizionismo: episodi “ordinari” forse, perché per lo più non segnati dalla temuta matrice del terrorismo islamico, ma straordinari per frequenza, per efferatezza e per le personalità “borderline” dei loro protagonisti. Non di rado, a dare fuoco alle polveri, sono stati banali contenziosi o litigi della vita quotidiana. Ma anche violenze coniugali o familiari, femminicidi tentati o perpetrati, eccessi di intemperanza di squilibrati, dispute in ambito lavorativo, insieme ad una recrudescenza impressionante, con cadenza quasi quotidiana, di atti inconsulti commessi da minorenni in ambito scolastico e ricreativo. Specie nelle “cités”, i sinistri agglomerati urbani delle periferie, dove spesso l’autorità dello Stato è fortemente compromessa, quando non del tutto travolta, da una auto-gestione refrattaria ad ogni osservanza della legge.

Ne risultano fra l’altro compromesse, come hanno recentemente rivelato alcune inchieste di prossimità, la stessa coesione sociale e l’adesione ad una idea di identità e di appartenenza alla nazione. Una parte non irrilevante della popolazione scolastica dei ginnasi e dei licei nelle banlieues, e non soltanto quella di origine magrebina o di confessione mussulmana, dichiara apertamente di non sentirsi francese, ancorché nata nell’Esagono, e di privilegiare agli insegnamenti, ai dettami ed ai principi giuridici della Repubblica, quelli della comunità o, peggio, della religione di appartenenza. Ed uno dei “mali” principali della società francese che la politica, con declinazioni e sfumature diverse, denuncia con preoccupazione, è appunto il “comunitarismo”, quale corollario del fallimento di ogni progetto di vera integrazione di interi settori della seconda generazione dell’immigrazione più recente.

La narrazione mediatica di questo stato di cose si divide fra lo stillicidio quotidiano di notizie di inedite e impensabili violenze di minori su altri minori (mentre vi scrivo, se ne sono già verificate almeno altre tre) e la spettacolarizzazione, con immagini in diretta, delle “traques” – vere e proprie cacce all’uomo - messe in atto con crescente frequenza dalle forze di sicurezza di “élite”: tre almeno fra queste hanno tenuto l’intero Paese col fiato sorpreso per vari giorni, accrescendo fortemente un’impressione diffusa di timore e di disagio per il degrado dell’ordine pubblico, oramai equiparato - anche strumentalmente - dall’opposizione ad una vera e propria emergenza nazionale.

Gli interventi più vistosi sono affidati al GIGN, la sigla che designa le “teste di cuoio” della Gendarmerie Nationale, un gruppo di pronto intervento nelle crisi più acute (come gli attentati terroristici, i sequestri di persona, la liberazione di ostaggi) della componente militare delle forze di sicurezza. Il GIGN affianca – soprattutto in provincia e in territorio prevalentemente rurale – il Raid, analogo corpo di élite della Polizia Nazionale, a vocazione più metropolitana. Le due Unità speciali operano sotto le direttive del Ministero dell’Interno e sono coordinate dal Prefetto e dal Procuratore della Repubblica competente per territorio (o per materia, nel caso del terrorismo, col ricorso alla procura speciale istituita nel 2019).

Ha colpito lo straordinario dispiegamento di uomini e di mezzi per costringere alla resa un giovane pesantemente armato, assassino del suo datore di lavoro e di un collega, resosi irreperibile in una impraticabile foresta delle Cévennes, catena montuosa centro-orientale. Così è stato anche per l’aggressore schizofrenico di una poliziotta che aveva fatto irruzione in un commissariato di polizia municipale in un piccolo comune nei dintorni di Nantes, abbattuto (o “neutralizzato”, come si preferisce dire qui) dopo aver fatto fuoco sui suoi inseguitori con la pistola sottratta alla sua vittima. Infine, un pluricondannato per violenze coniugali, già membro dell’Esercito ed equipaggiato di pesanti fucili da caccia grossa, catturato dopo tre giorni di accerchiamento e gravemente ferito dai tiratori scelti nel corso della sparatoria conclusiva.

In tutte queste operazioni sono intervenuti centinaia di gendarmi, decine di blindati e di elicotteri, unità cinofile e negoziatori specializzati; degli avanzamenti (e delle altalenanti sorti dell’intervento) riferivano puntualmente, ed a più riprese in diretta, il Prefetto competente sempre in Uniforme, come previsto per questa funzione fin dalla fondazione del “Corps Préfectoral” ad opera di Bonaparte Primo Console, affiancato dal Procuratore della Repubblica e per lo più da un Generale della Gendarmeria, quasi ad ostentare la rassicurante presenza e l’affidabilità dello stato di diritto.

L’esito sostanzialmente positivo di tutti gli interventi – anche se si è risolto in una sola resa, mentre ha comportato la morte e il ferimento grave dei restanti ricercati – finisce col costituire un punto a favore del Governo che ha dimostrato – invero senza eccedere in dichiarazioni dai toni trionfalistici – di non tralasciare nulla quando si tratta di proteggere la popolazione. Ma l’ostentato ricorso a mezzi eccezionali, la stessa messa in scena mediatica dispensata a ritmi ossessivi e con una raffigurazione spettacolare di un pullulare di uniformi e di armi pesanti è valsa, di contro, a potenziare la portata ansiogena assunta in questo inizio d’anno – e di campagna elettorale – dall’incessante sottolineatura della sicurezza pubblica in cima all’agenda politica.

Sui media, accreditati psicologi attribuiscono all’isolamento e alla clausura nelle mura domestiche per più di un anno - qui l’espressione anglosassone lockdown è praticamente bandita a favore del più francese “confinement” - l’esplosione di intemperanza violenta in personalità fragili, cui sono saltati i nervi (“qui ont pété les plombs”, come si dice con una colorita espressione gergale che fa riferimento ai fusibili dei circuiti elettrici). Purtroppo, però, non ci si limita ad analizzare le cause di questa inattesa ondata di violenze, per trarne costrutto; il clima politico incandescente finisce per ricondurre polemiche e contestazioni della linea governativa all’ormai abusata condanna del presunto malfunzionamento della giustizia. In realtà, nei tre episodi sopra sintetizzati, il primo dei fuggiaschi era incensurato, il secondo aveva scontato per intero la pena ed il terzo, dopo un periodo di detenzione relativamente lungo, beneficiava di arresti domiciliari sottoposti a rigorosa vigilanza. Ma neppure la conferma del rigoroso rispetto della legislazione e la conformità delle specifiche situazioni con le disposizioni in vigore costituisce un argomento per rasserenare gli animi. Anzi, anche convincenti argomentazioni di tipo tecnico-giuridico vengono strumentalizzate ad arte dall’opposizione, specie quella più forcaiola, e neppure troppo velatamente viene talvolta evocato il ricorso alla pena di morte.

L’ennesima polemica sul tema dell’ordine pubblico è stata scatenata dal Vice Presidente del Partito dei “Républicains” Guillaume Peltier: ha fatto clamore la sua proposta di reintrodurre nel sistema giudiziario francese la cosiddetta “Cour de sureté de l’Etat”, una giurisdizione straordinaria introdotta nel 1963 a fronte dell’ondata di attentati dell’OAS nel corso della guerra di Algeria, soppressa poi negli anni ’80. Si trattava di un vero e proprio Tribunale speciale, la cui composizione escludeva ogni forma di giuria popolare, munito di una vasta latitudine di discrezionalità in materia di delitti qualificati “politici”. Come se non bastasse, la proposta di Peltier si accompagna ad un progetto di riforma costituzionale, mirante a sopprimere la giurisdizione di Appello per tutti i reati di impronta terroristica.

Come è naturale, a fronte di una nuova, importante razione di “cacio sui maccheroni” per Marine Le Pen, il “Rassemblement National” ha acclamato l’iniziativa di Peltier, non mancando di sottolineare come a formularla fosse stato il numero due del suo partito e non un semplice elettrone libero della destra classica, mentre riprendeva il contradditorio fra componenti dei Républicains favorevoli ad una apertura a destra (e quindi inclini a votare per l’ex Fronte Nazionale e Le Pen in tutti i ballottaggi) e i loro compagni di partito favorevoli, invece, a mantenere l’ostracismo al Rassemblement National.

Peltier, salito ai vertici dell’organigramma repubblicano dopo una navigazione non proprio irreprensibile nel Fronte nazionale giovanile e noto per la sua spregiudicatezza, è stato redarguito dai principali leaders neo-gollisti, a cominciare dal Segretario dei Républicains, Christian Jacob, con l’effetto di relegare per ora in secondo piano, ma “obtorto collo”, ogni ipotesi di cedimento alle lusinghe del lepenismo. Si attende probabilmente l’esito delle Regionali, fra meno di due settimane, per affrontare questa ulteriore lacerazione in seno al partito erede di de Gaulle e, si dice qui con insistenza, rivederne gli assetti interni, sino forse a far cadere qualche testa. Rimane però molto più improbabile che intervenga un autentico chiarimento di fondo in uno schieramento che identifica tradizionalmente il proprio leader nella persona del candidato per l’Eliseo, come è stato da ultimo per Chirac e Sarkozy, mentre la necessità di ridisegnare i perimetri della destra si fa sempre più impellente.

Nel frattempo, ha avuto inizio il pellegrinaggio nella Francia profonda del Presidente Macron: prima tappa nel Lot, dipartimento rurale e turistico della Regione sud-occidentale dell’Occitania. Il buon tempo, la bellezza dei paesaggi e del minuscolo villaggio di Saint Cirq, il caloroso saluto del sindaco (già senatore socialista avvicinatosi ai “marcheurs”) hanno contribuito, insieme all’oratoria disinvolta e cordiale di Macron, a prendere di contropiede tutti i principali commentatori, anche quelli a lui meno favorevoli, che mordono il freno rispetto alla riserva, opposta ancora una volta con garbata fermezza, ad ogni richiesta di dichiararsi finalmente candidato alla rielezione.

Al tema del giorno, quello della violenza nella società e delle responsabilità che ricadono sui social-media, Macron ha fatto brevemente cenno, limitandosi a tracciarne una generica ma lucida analisi diagnostica: a lasciar presagire che ci sarà tempo e luogo per trattare più esaustivamente dei rimedi, preventivi più ancora che repressivi, cui ha in animo di far ricorso.


l’Abate Galiani


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