Il prossimo 10 marzo il Parlamento europeo firmerà la dichiarazione di avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa, data fissata tre giorni fa dall’Assemblea in un documento che stabilisce anche le modalità di funzionamento e gli obiettivi del grande forum.
Era stato Emmanuel Macron nel marzo 2019, con una lettera in tutte le lingue ufficiali dell’Ue, a proporre ai “Cittadini d’Europa” di “tracciare insieme il cammino di un Rinascimento europeo”. Perché con la Brexit ormai in pieno corso, la crisi economica già grave, l’aumento della povertà, la controversa attribuzione di colpe e responsabilità fra gli Stati in materia di migrazioni, cresceva la disaffezione degli europei verso le istituzioni comunitarie, mentre i partiti sovranisti si affermavano non solo nei Paesi dell’Est. Scriveva allora Macron nella sua lettera: “Non possiamo lasciare i nazionalisti, senza soluzioni, sfruttare l’ira dei popoli. Non possiamo essere i sonnambuli di un’Europa rammollita. Non possiamo rimanere nella routine e nell’incantesimo. L’umanesimo europeo è un’esigenza di azione. Ed ovunque i cittadini chiedono di partecipare al cambiamento. Allora entro la fine dell’anno, con i rappresentanti delle istituzioni europee e degli Stati, instauriamo una Conferenza per l’Europa al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico”. Poi, nonostante l’adesione del Parlamento di Bruxelles, della Commissione von der Leyen e infine, nel dicembre 2019, del Consiglio europeo, il progetto si è fermato, rimandato e poi di nuovo prorogato il 9 maggio scorso a causa della pandemia, ma anche per le incertezze degli Stati e delle istituzioni intergovernative a dare il via ad un processo orientato verso una governance più strettamente comunitaria dell’Unione europea. Con grande prudenza i leader europei hanno infatti innanzitutto discusso a lungo su chi avrebbe guidato la Conferenza, liquidando Guy Verhofstadt, già a capo dell’area liberaldemocratica del Parlamento europeo, troppo “federalista”, troppo europeista perché il Consiglio potesse accettare la sua candidatura; la bocciatura è toccata anche all’ex premier socialdemocratica danese Helle Thorning-Schmidt, sostenuta da Merkel e Macron ma non dai popolari di Manfred Weber. E sull’intoppo della presidenza è passato il tempo e anche la determinazione a dare il via al progetto. Alla fine però l’accordo è stato raggiunto e prevede la presidenza coordinata delle tre istituzioni dell’Unione: Commissione, Consiglio e Parlamento.
Macron vorrebbe che i lavori terminassero nel 2022, in coincidenza con la presidenza francese del Consiglio dell’Ue; la sua aspirazione sarebbe quella di celebrare il successo di un’iniziativa costituente autenticamente democratica, perché realizzata con la partecipazione dei parlamenti nazionali, ma anche delle forze economiche e sociali e dei cittadini dei Paesi membri: “Questa conferenza dovrà associare gruppi di cittadini, dare audizione a universitari, parti sociali, rappresentanti religiosi e spirituali” , perché “ovunque i cittadini chiedono di partecipare al cambiamento”. Sono infatti in corso i lavori della Commissione per mettere in rete una piattaforma che permetterà scambi di discussione e proposte online, oltre a dispositivi per la traduzione istantanea a beneficio di tutti gli europei partecipanti.
È su questo grandioso impianto che dovranno però misurarsi gli obiettivi. È già opinione diffusa che le aspirazioni originarie del progetto abbiano subito un forte ridimensionamento già prima della partenza. Scriveva Macron nella sua lettera che scopo della Conferenza sarebbe mettere in moto tutti i cambiamenti necessari “senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati” e il Parlamento europeo ha più volte ribadito che qualunque progetto di riforma dovrà prendere in considerazione una revisione di quei testi normativi. Il Consiglio, invece, nega che la Conferenza possa rientrare fra le iniziative finalizzate alla riforma dei Trattati, evidenziando l’intenzione dei governi nazionali di circoscriverne le finalità.
Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, accogliendo con soddisfazione la decisione sulla data di avvio, ha parlato di “una grande opportunità per lavorare a una nuova Europa insieme con i cittadini”. E non c’è dubbio che la volontà di aprire un dibattito per individuare “dal basso” problemi e sfide sia importante e al passo con le richieste di partecipazione alle scelte politiche che vengono, ad ogni livello, da molte parti della società. Però servirà una buona regia per convogliare tutte le richieste e i piani presentati da una platea aperta tanto ampia. Soprattutto servirà una regia abile e svelta nel selezionare gli obiettivi. Perché la pandemia ha dimostrato che l’urgenza delle decisioni da prendere su scala europea non può più tollerare, almeno su alcune materie, l’unanimità deliberativa, né si può accettare che alcuni Stati rifiutino ancora di cedere quote di sovranità nazionale alle istituzioni europee.
La collaborazione fra i Paesi per combattere il Covid 19 ha confermato che l’unica possibile strada per fronteggiare la crisi sanitaria ed economica in corso è quella comunitaria e l’unico futuro immaginabile per l’Europa, in un mondo sempre più globalizzato dove le iniziative dei singoli Stati sono destinate a infrangersi, è quello dell’integrazione. Gli strumenti finanziari messi in campo dai governi con l’accordo sul Recovery fund hanno dimostrato che il coordinamento sovranazionale delle politiche economiche è possibile, così come le carenze di competenza delle istituzioni comunitarie in materia sanitaria hanno evidenziato che, senza ulteriori traguardi di integrazione, non si potranno bloccare le vie di fuga di Stati come l’Austria e la Danimarca che, di fronte alle lacune della campagna di immunizzazione europea, hanno preso accordi con Israele per l’acquisto autonomo dei vaccini. Intanto, non solo nei Paesi delle democrazie illiberali, ha ripreso fiato la propaganda delle destre - Salvini e i suoi supporter in prima fila - contro la ridondanza della burocrazia comunitaria e la fragilità dei processi decisionali delle istituzioni europee.
La Conferenza sul futuro dell’Europa potrà quindi essere l’agorà digitale per un dibattito che, però, non può esaurirsi in una sterile sessione degli “Stati Generali” dell’Europa, ma dovrà essere di stimolo per un’urgente, feconda fase costituente. Per aumentare le competenze dell’Ue nei settori dell’economia, della sanità, delle politiche migratorie e della sicurezza, dell’innovazione e della ricerca; e per cambiare i meccanismi decisionali, rinforzando il potere di codecisione del Parlamento europeo e abolendo il voto all’unanimità, strumento di veto nelle mani dei governi nazionali contro le decisioni comunitarie. Ci sarà bisogno di forte iniziativa politica da parte del Parlamento e della Commissione. E di grandi personalità, leader in grado ricondurre l’Unione alle intenzioni fondative di una comunità democratica, spazio di libertà, sviluppo e giustizia sociale.
Silvia Di Bartolomei
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