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Unione europea e Turchia, passa la linea Draghi

A conclusione del vertice Ue del 25 e 26 marzo, l’Europa ha deciso per una linea di prudente ma intenzionale apertura verso la Turchia. Le sanzioni messe in conto dal Consiglio europeo del 10 dicembre sono state congelate, il dialogo riprende e anzi deve essere rilanciato “ad alto livello su questioni di interesse reciproco, quali la salute pubblica, il clima e la lotta al terrorismo, nonché su questioni regionali”. Il rapporto dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri Josep Borrell, analizzato nel corso del summit, ha infatti attestato l’“allentamento delle tensioni nel Mediterraneo orientale”, dovuto alle recenti mosse di Erdogan che ha interrotto le trivellazioni illegali nelle acque di Cipro e della Grecia e ha accettato prossimi colloqui bilaterali tra Grecia e Turchia per affrontare, sotto l’egida dell’Onu, la questione cipriota. I leader europei hanno perciò ritirato la linea dura e aperto verso una distensione delle relazioni economiche, commerciali e politiche tra l’Ue e la Turchia. L’“atteggiamento positivo” e propositivo prospettato alla vigilia del summit dal premier Draghi – l'Unione europea, aveva detto, deve lavorare per “una dinamica costruttiva anche in chiave di stabilità regionale” - ha trovato umori concordi al tavolo del Consiglio.

La posta in gioco è infatti alta e coinvolge gli scenari internazionali. Nella sua recente visita al quartier generale dell’Alleanza Atlantica a Bruxelles, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che la Turchia è “un alleato ed è nostro interesse mantenerlo ancorato nella Nato", aggiungendo che sia gli americani sia gli europei “si rifiutano di tagliare i legami con Ankara”. Un invito, forse non a caso pochi giorni prima del Consiglio europeo, a tenere dritta la barra verso gli obiettivi della ritrovata collaborazione euroatlantica avviata da Joe Biden.

Su questa linea, le intese raggiunte per definire i rapporti con la Turchia sono forse un passo avanti per l’Europa che, alle prese con la più grave crisi dal dopoguerra, sembra disposta a procedere verso una maggiore collaborazione anche sul piano della politica estera e della sicurezza.

Nel programma, i leader europei hanno dunque posto in primo piano l’immigrazione. Nelle comunità di accoglienza allestite sul territorio turco si trovano attualmente circa quattro milioni di siriani fuggiti dall’inferno della guerra all’Isis nelle loro terre. L'assistenza dell'Ue per queste comunità – ha stabilito il Consiglio europeo – deve proseguire, insieme ad una più ampia strategia di gestione della migrazione su tutte le rotte del Continente. La Turchia, che con gli accordi del 2016 aveva già ottenuto dall’Europa 6 miliardi di euro, riceverà nuovi finanziamenti per la protezione delle frontiere e il ritorno presso le comunità turche dei migranti irregolari e dei richiedenti asilo respinti.

Sul piano economico e commerciale, il Consiglio ha disposto prossimi colloqui con la Turchia per affrontare le difficoltà o le intenzionali restrizioni che impediscono l’applicazione dell’unione doganale a tutti gli Stati membri; sul piano politico, i leader europei richiedono alla Turchia massimo contributo alla soluzione di crisi regionali come quelle in corso in Libia, in Siria e nel Caucaso meridionale.

Programmi rispetto ai quali è giusto nutrire grandi aspettative per il raggiungimento di più stabili equilibri nel Mediterraneo orientale. E tuttavia, nel considerare necessaria l’apertura alla Turchia, l’Unione europea non può accettare il rischio che la difesa dei diritti umani resti in secondo piano. Erdogan, denunciano i partiti e le poche voci della stampa libera, ha intensificato la repressione dei diritti civili e politici ed esercita un soverchiante abuso di potere. L’arresto di 82 dirigenti del Partito democratico dei popoli, filocurdo e espressione della sinistra libertaria, è solo l’ultimo atto di repressione dei partiti di opposizione; la continua offensiva rivolta alla comunità curda si esprime con drammatiche violazioni dei diritti delle minoranze; il ritiro dalla Convenzione di Istanbul per la difesa delle donne dalla violenza è una grave minaccia per l’incolumità delle donne turche; i tentativi di chiusura del Parco Gezi, luogo di raduno per molti ragazzi e artisti, sono un pesante attacco alla libertà di manifestazione della critica o del dissenso giovanile. E ancora molto altro.

Lo scrittore premio Nobel Omar Pamuk ha di recente affermato in un’intervista a Repubblica: “Erdogan autoritario lo era già prima. Ha usato la peste dell’epidemia per una stretta più forte. Come sappiamo, qui non c’è libertà di espressione, se non per pochi”.

Nel documento conclusivo del Consiglio europeo si legge: “Lo Stato di diritto e i diritti fondamentali rimangono una preoccupazione fondamentale”, e ancora: “Invitiamo la Turchia ad astenersi da nuove provocazioni o azioni unilaterali in violazione del diritto internazionale”. I tentativi di esportare la democrazia sono spesso falliti. Però è giusto aspettarsi che l’Europa, nell’attuare i propositi di distensione con la Turchia, sappia mettere in campo la sua forza contrattuale per condurre Erdogan al rispetto delle libertà e dei valori democratici.


Silvia Di Bartolomei

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