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Voto in Francia, la gauche incalza Macron

Lettera da Parigi


Serpeggia, in crescendo, un’atmosfera pervasa di incertezza e di contrapposti nervosismi negli ambienti politici francesi, man mano che si avvicina la fatidica scadenza dei due turni delle legislative, il 12 e il 19 giugno. E, con essa, la definizione dei futuri equilibri parlamentari, da cui dipende la sorte stessa del prossimo quinquennio.


E se i sondaggi – davvero poco attendibili a fronte del macchinoso sistema maggioritario vigente – ed i relativi commenti si fanno via via più febbrili, i media continuano a sottolineare, enfatizzandolo in controtendenza, il carattere atono e dimesso della campagna che sta per concludersi. Quasi a negare la loro primaria responsabilità nell’aver sistematicamente relegato in fondo ai palinsesti i dibattiti di sostanza e il raffronto fra programmi e progetti dei candidati, a beneficio quasi esclusivo – negli spazi ancora liberi dal minuzioso resoconto delle vicende belliche in Ucraina – dei principali scandali scoppiati nelle ultime settimane, amplificandone il clamore, certamente ben più redditizio sul piano dell’audience. Ma anche ad indiretto vantaggio di quegli schieramenti di opposizione che si sono dati per consegna la protesta ad oltranza (essenzialmente contro Macron) nel nome dell’antipolitica e della contestazione antisistema.


E se la campagna di Marine Le Pen risulta effettivamente slavata e dimessa, a palese conferma della delusione subita e dello scoramento che pervade il suo campo politico (riservando solo alcuni sporadici affondi di trita polemica antigovernativa in materia di sicurezza e di immigrazione), Mélenchon e la sua multicolore alleanza di sinistra radicale e populista non risparmiano quotidianamente attacchi virulenti e vociferazioni anche apertamente insultanti al campo moderato, reo di voler perpetuare uno status quo intriso di presunta corruttela, di ambigui interessi delle classi privilegiate, di sostanziale immobilismo ambientale, e di un rigido rigorismo antidemocratico ed antisociale.


Rapidamente archiviato l’abusato tema del Burkini, il costume intero comprensivo di un curioso copricapo munito di velo islamico nelle piscine comunali, accantonata la polemica sulla personalità e il retroterra “indigenista”, “wokista” e anticolonialista del nuovo Ministro dell’Educazione, congelato ogni riferimento alle accuse di violenza sessuale a carico del nuovo acquisto di En Marche, l’ex gollista Damien Abbad, che pure avevano monopolizzato per giorni e giorni il dibattito multimediale, tiene oramai banco il “fiasco” della finale della Champions League di calcio allo stadio di Saint Denis. Esso infatti permette di tener viva la polemica contro il Ministro dell’Interno e le Forze dell’Ordine: con un fuoco incrociato di accuse e di contestazioni dell’estrema destra e dell’estrema sinistra; non senza un… “aiutino” del Senato a maggioranza gollista, ancora prigioniero di una logica antagonizzante a tutti i costi, che utilizza con astuzia politicienne la sua competenza in materia di inchieste parlamentari e che ha dato ampia eco negativa, nel nome della tradita onorabilità e grandeur della Francia, alle dettagliate (forse troppo) illustrazioni dell’accaduto fornite dal Ministro dell'Interno Darmanin.


Passano in secondo piano, invece, le indicazioni programmatiche di tutti gli esponenti della maggioranza presidenziale (e la calendarizzazione dei relativi provvedimenti) su tutti i temi dell’attualità, ed in particolare le priorità più stringenti quali il potere d’acquisto e il contenimento dell’inflazione e dei costi dell’energia, le riforme urgenti nel settore della Sanità pubblica (con l’emergenza dello spopolamento degli ospedali e dei Pronto Soccorso in tutto il Paese), ed in quello previdenziale, educativo ed ambientale. Tanto che il Presidente in persona ha voluto riassumerli ed evocarli ad uno ad uno in una lunga intervista alla stampa regionale, riunendoli in una sorta di “manifesto” per il secondo mandato.


Contestualmente Macron ha decisamente stroncato il progetto alternativo della Nupes (Nuova unione popolare ecologica e sociale), stigmatizzandolo senza mezzi termini come del tutto irrealizzabile se non a prezzo del caos economico-sociale, non meno che per l’inconfessato obiettivo di abbandonare l’UE e la Nato.


La stessa crudezza dell’attacco a Mélenchon dimostra che il vero avversario del “fronte moderato della ragione” è proprio l’anziano ma combattivo leader ex-socialista ed il suo improbabile armamentario di ispirazione bolivarista e plebiscitaria. La sua vocale e fantasiosa campagna elettorale (farsi eleggere Primo Ministro, senza neppure presentarsi come Deputato ed in barba ai dettami costituzionali della Quinta Repubblica) sta avanzando più delle altre in un Paese disorientato, parcellizzato ed esposto alla tentazione dell’astensionismo, come è evidente nei titoli di prima pagina del Journal du Dimanche sui “sudori freddi” all’Eliseo, cui fa eco il Figaro evocando le crescenti preoccupazioni del Presidente e l’incubo di non raggiungere l’obiettivo di una maggioranza che gli consenta di governare.


Neppure l’apertura al dialogo “tout azimuth” sulle risposte da dare al Paese in tema di riforme istituzionali e di funzionamento della democrazia verso forme più avanzate di rappresentatività popolare, è valsa a segnare un punto a favore del campo di Macron. L’annuncio della creazione di un Consiglio Nazionale di “Rifondazione” incaricato di un ruolo consultivo per le riforme e selezionato nei corpi intermedi e nella società civile con un metodo di designazione diretta frammisto a estrazioni a sorte, è stato freddamente salutato dall’opinione pubblica come un gadget aggiuntivo di poco conto; con l’aggravante di voler “scimmiottare” nel suo acronimo il glorioso Consiglio Nazionale della Resistenza che operò per la ricostruzione alla Liberazione.


Sta di fatto che il “sistema” traballa e mai come in questa occasione la trama della Costituzione gollista e del semi-presidenzialismo francese appare logora e bisognosa di urgenti e forse radicali riparazioni: ma, al di là di qualche generico proclama, anche per le riforme (ed in primis la tanto invocata introduzione di un correttivo proporzionale) tutto è necessariamente rinviato alle forche caudine del passaggio elettorale di domenica prossima e della sua conclusione il 19 giugno.


È davvero un’occasione ghiotta per tentare la spallata populista insita nell’operazione orchestrata da Mélenchon che i sondaggi tendono a non sottovalutare, anche se a livello nazionale il sostanziale pareggio fra i due campi dovrà poi conoscere il vaglio del ballottaggio: uno spareggio implacabile, in cui la sinistra radicale non ha spazi di recupero, mentre la coalizione governativa potrà richiamarsi al “voto utile” in nome della ragione, tanto presso la destra moderata del deliquescente schieramento neo-gollista che fra i socialdemocratici dissidenti, affranti dal naufragio del loro partito e dell’annullamento della grande tradizione socialista francese in seno all’alleanza estremista della Nupes. Lo smacco subito dall’ex Primo Ministro Valls nella sua circoscrizione estera (reso noto in anticipo), al di là del suo carattere specifico e personale, non è tuttavia di buon auspicio.


Inciderà su entrambi i turni la partecipazione al voto: dell’astensionismo potrà soprattutto patire il deluso schieramento della destra estrema, mentre la Nupes spera di rastrellare il voto di protesta soprattutto giovanile, inducendo intere fasce della popolazione tradizionalmente indifferenti alla politica a mobilitarsi alle urne, con il linguaggio più attraente dei social media.


Su tutto pesa come un macigno la congiuntura internazionale e il conflitto in Ucraina. E se sinora era prevalsa la visione di un Capo dello Stato da non rimuovere in corso d’opera, dedito alla causa della “desescalation” e della fermezza intereuropea nei confronti di Mosca, ora persino le più recenti prese di posizione dell’Eliseo sul fronte internazionale sono fatte oggetto di nuove, impietose polemiche. Si rimprovera in particolare a Macron – nella abituale visione ombelicale e franco-centrica della costruzione europea e dell’avversione alla globalizzazione – un crescente isolamento, in una visione antieuropea e antiamericana che ignora i passi in avanti compiuti dall’UE a fronte delle due crisi epocali della seconda decade del nuovo millennio e l’anticipazione costruttiva di nuovi orizzonti per il Vecchio Continente.

Fino a negare, in una colpevole negligenza del mondo dell’informazione, realtà pur evidenti come l’allargamento di una solidale “dirigenza” europea dall’asse franco-tedesco alla dinamica compartecipazione dei leader della penisola iberica e soprattutto dell’Italia alla guida di Mario Draghi: della sua visita mercoledì a Parigi poco o nulla viene detto sui media.

Eppure, è la stessa sorte delle nostre democrazie e della costruzione europea che è ancora una volta in gioco, a fronte del dilagante spazio riservato a rivendicazioni miopi, quando non meschine, ma certamente indicative di un malessere crescente al quale il sistema in vigore e la classe politica sembrano non dare adeguate risposte.


l’Abate Galiani

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