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Ancora sull’intervento del presidente del Senato

Dopo l’articolo che abbiamo dedicato ieri alle dichiarazioni di La Russa sul disegno di legge costituzionale che introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio e in particolare sulla sua ammissione che, se approvata, questa riforma inciderebbe sui poteri che la Costituzione vigente attribuisce al Presidente della Repubblica, abbiamo continuato a riflettere sulle ragioni che possono avere indotto il presidente del Senato a quella presa di posizione.

Intanto escludiamo che si tratti di parole dette casualmente. La Russa non è un novizio della politica. Ha una lunga esperienza parlamentare e sa esattamente che le parole del presidente del Senato hanno un peso oggettivo, anche se dette casualmente in risposta a sollecitazioni dei giornalisti. Anzi sa che pesano di più le parole dette apparentemente in modo casuale che non le dichiarazioni lette in un discorso ufficiale. Inoltre, si tratta di cose già dette dallo stesso La Russa all’indomani della presentazione del disegno di legge che coincidono con le opinioni di altri esponenti autorevoli di quello schieramento, a cominciare da Marcello Pera. Dunque, sono parole sulle quali è necessario fermarsi per tutto il tempo necessario a capire perché sono state dette e perché sono state dette in questo momento.

La conclusione cui ci ha condotto questa riflessione ulteriore è che al termine della prima fase della discussione in Commissione sul testo della riforma che ha visto le audizioni di più o meno tutti gli esperti della materia, compresi quelli di orientamento vicino ai partiti di maggioranza, il presidente del Senato, ma non solo lui, si deve essere reso conto che la formulazione adottata nel disegno di legge del governo è sbagliata. Invece di prendere la via maestra del presidenzialismo o del semipresidenzialismo che costituisce un modello non solo sperimentato all’estero, ma di cui si è discusso da sempre anche in Italia, il governo ha finito per proporre un modello che non ha precedenti in alcun altro paese (se non un tentativo presto abbandonato in Israele) e che è in sé contraddittorio. Hanno infatti avuto buon giuoco gli esperti a osservare che il presidente del Consiglio eletto direttamente sarebbe ostaggio della sua maggioranza, non potendo ottenere automaticamente lo scioglimento delle Camere come invece potrebbe ottenere un suo eventuale successore. Il senatore La Russa deve essersi chiesto se queste evidenti incongruenze non finiranno per pesare nel giudizio finale degli elettori in un eventuale referendum. Ma si deve anche essere chiesto se sia stata saggia la scelta di un modello pasticciato che evidentemente puntava ad ottenere dei voti aggiuntivi (quelli del centro?) che potessero evitare il referendum, mentre oggi questa prospettiva sembra allontanarsi perché neppure il senatore Renzi sembra convinto della forma specifica della riforma.

Valeva la pena fare un pasticcio senza neppure la possibilità di rivendicare la coerenza e la continuità con una tradizionale impostazione della destra italiana?

Naturalmente, come debbono avergli fatto notare a Palazzo Chigi (dove probabilmente si scaricano delle colpe sulla senatrice Alberti Casellati, responsabile materiale del testo), indietro il governo non può tornare, perché si perderebbe un anno per ricominciare da capo. Ma La Russa e gli altri possono a loro volta ribattere che se un testo è debole e contraddittorio - e il testo attuale lo è - queste debolezze non saranno cancellate dal trascorrere del tempo, ma rischiano di emergere sempre più chiaramente. Dunque, forse sarebbe meglio presentare degli emendamenti che restituiscano un senso compiuto alla riforma, piuttosto che arroccarsi a difesa di un testo indifendibile.

Insomma, a noi sembra che, a pochi mesi dalla sua presentazione, la formulazione scelta per la riforma costituzionale si sia dimostrata un errore. E quelli che, come il presidente del Senato, hanno una esperienza politico-parlamentare maggiore di altri, sanno che in politica si possono rendere mediocri cose che inizialmente erano buone, o cattive cose che inizialmente erano mediocri, ma che raramente avviene il contrario. E in questo caso non è affatto chiaro se esista un modo per migliorare una riforma mal concepita e mal formulata.

Naturalmente, è difficile – lo sa bene il presidente del Senato – cambiare strada giunti a questo punto. Ma forse dietro queste esternazioni c’è la preoccupazione sul giudizio che in futuro potrà essere dato sul primo governo della destra in Italia nel dopoguerra. Se domani venisse fuori una riforma che non è espressione delle storiche posizioni della destra e che si dimostra sbagliata, l’occasione storica sarebbe stata rovinosamente perduta.

 

Giorgio La Malfa

20 dicembre 2023

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