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La calza della Befana

Il centrodestra a Roma ha molte più chance di vincere che in altre grandi città, per l’evidente insuccesso della ricandidatura Raggi e per tradizionale insediamento politico nella capitale, ma non ha ancora trovato il nome su cui convergere.

Sull’altro fronte sono già scese in campo due candidature di qualche peso. Ma sono candidature, quella della sindaca uscente e quella di Carlo Calenda, che non solo non esprimono lo schieramento di forze che sorregge il governo, ma addirittura sono reciprocamente incompatibili e solo parzialmente sostenute dai propri potenziali supporter. Infatti solo una parte, e nemmeno maggioritaria, dei Cinquestelle vede con favore un secondo mandato dell’attuale sindaco. E Calenda ha il sostegno esplicito di Renzi, della Bonino e di alcuni dirigenti del Pd ma non della segreteria del partito.

La precoce discesa in campo dei due candidati è evidentemente diretta a provocare un altrettanto precoce chiarimento tra i partiti, a livello locale e forse nazionale.

Al Commento Politico, tuttavia, non sembra che questo risultato possa essere ottenuto in tempi brevi. Per molte ragioni.

Prima di tutto perché la nuova fisionomia politica dei Cinquestelle è lungi dall’essere all’orizzonte. Tutti gli osservatori concordano nel ritenere che la linea Grillo – Di Maio, volta a stabilire una organica convergenza col Pd, sia destinata a prevalere. Ma ciò non avverrà prima degli Stati Generali del movimento, previsti per il 7-8 novembre ma che, per la difficoltà di coniugare la ripresa della pandemia con la necessità che questo vero e proprio congresso si svolga in presenza, è possibile scivolino ancora nel tempo.

In secondo luogo, perché la “svolta” dei Cinquestelle rappresenta solo il primo step di un più lungo percorso che non potrà che vedere il Pd come principale protagonista. Zingaretti e la maggioranza che lo sostiene si sono fin qui adoperati perché l’alleanza con i Cinquestelle divenisse strutturale. Ma sanno che questa alleanza, in sé indispensabile, non è sufficiente a vincere a Roma, ad eleggere il prossimo Capo dello Stato ed a rendere contendibili le prossime elezioni nazionali. Come abbiamo scritto recentemente, per raggiungere questi obiettivi occorre creare le condizioni per far nascere due maggioranze che, separatamente, lavorino per raggiungere lo stesso risultato. La prima tra il Pd e i Cinquestelle; la seconda tra il Pd e le forze alla sua destra, da Renzi, a Calenda, alla Bonino, a Bentivogli e così via.

È un’impresa riuscita a Berlusconi nel 1994 varando l’alleanza con due forze irriducibilmente contrapposte, come allora erano la Lega e Alleanza Nazionale. È un’impresa non impossibile, quindi, ma che richiede tempi ben più lunghi di quelli che Raggi e Calenda pretenderebbero.

Il vero test nazionale per confermare lo stato di salute della maggioranza è quindi rappresentato dalle elezioni a Roma. Non solo perché è la Capitale e tutti i riflettori sono puntati su di essa. Ma perché, a Roma, i nodi e le contraddizioni che attraversano la coalizione che sostiene il governo, sommate alla necessità di ampliare i confini dell’alleanza a forze che al governo si contrappongono – come Calenda, Più Europa eccetera -, rende molto difficile trovare soluzioni capaci di battere un centrodestra sostenuto da un solido e storico consenso.

È Roma quindi la cartina di tornasole per capire se le forze che non appartengono al centrodestra saranno state in grado di trovare la convergenza necessaria per non giungere a ranghi sciolti alla elezione del prossimo Presidente della Repubblica nei primi mesi del 2022 e alle successive elezioni politiche. Dal modo con cui i partiti si presenteranno alle elezioni si potrà capire se il patto di legislatura evocato ieri simultaneamente dal Presidente Conte insieme a Zingaretti, Di Maio e Renzi sia solo un lodevole wishful thinking o se avrà trovato solide radici su cui svilupparsi.

C’è un elemento, infine, che fa prevedere tempi più lunghi per la definizione di un effettivo chiarimento politico. Lo sottolineiamo per ultimo, ma forse è il più rilevante. Le sorti del governo. Nessuno pensa che il combinato disposto costituito dalla chance di gestire i fondi europei insieme al taglio dei parlamentari possa portare ad elezioni anticipate. Ma è altrettanto evidente che se entro la fine dell’anno il Pd e i Cinquestelle ponessero le basi per un accordo più stabile, ciò renderebbe meno indispensabile la presenza di una figura per certi aspetti terza come Conte. Il Commento Politico lo ha segnalato di recente al presidente del Consiglio, cui peraltro non sarà sfuggito il tono critico, ben più alto che in passato, con cui sono state accolte le sue improvvide dichiarazioni sul Mes. Il Mes è oggi un tema spinoso forse più politicamente che finanziariamente ed è singolare che il ministro dell’Economia, passando negli ultimi tempi dal Sì al Nì, si ritrovi in una posizione di equilibrio tra il Pd e i Cinquestelle migliore di quella del capo del governo.

Patto di legislatura, quindi. Una formula che può rivelarsi risolutiva per Roma e per gli altri importanti appuntamenti di cui le elezioni nella capitale possono rappresentare il prodromo. Ma non prima dell’Epifania.

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