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Pnrr, governo e maggioranza navigano a vista

La discussione sui poteri della Corte dei Conti che si è svolta in questi giorni è un falso problema. Non sono certo i controlli contestuali della giurisdizione amministrativa a ritardare o impedire la realizzazione tempestiva degli investimenti previsti dal PNRR.

Il fatto è che il PNRR è irrealizzabile, né sarà possibile al governo trovare delle vie di spesa valendosi dei mancati controlli della Corte dei Conti. Leggeremo attentamente il rapporto predisposto dal ministro Fitto che sarà consegnato al Parlamento fra oggi e domani, ma avendo seguito dall’inizio la questione, come sanno bene i lettori del Commento Politico, possiamo prevedere con tutta serenità il fallimento non su tutta la linea, ma su larga parte del progetto italiano.

Ricapitoliamo la questione. Fin dal primo giorno si doveva scegliere fra due impostazioni:

- affidare a un ente appositamente creato con legge il compito immane di spendere (bene) 200 miliardi di euro in 6 anni;

- affidare alle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato la progettazione e la spesa dei fondi, dotando il governo di una "cabina di regia" e di un potere sostitutivo degli enti che fossero risultati inadempienti.

Il Commento Politico ha sostenuto, in assoluto isolamento, la prima tesi. Tutte le forze politiche e tutti gli esperti che si sono occupati della materia hanno sostenuto la seconda. Nessun partito, dalla estrema destra che oggi governa, alla sinistra che allora governava, ha preso in considerazione le argomentazioni a favore della prima soluzione, anche per scartarla. Tutti hanno tacitamente convenuto sulla scelta di affidarsi alle varie articolazioni della pubblica amministrazione per presentare i progetti e per realizzarli. Il governo Meloni nelle sue critiche all’indirizzo dei precedenti governi non ha mai messo in discussione l'impostazione decisa con il consenso di tutti. Ha solo elevato lamenti e spostato a Palazzo Chigi la cabina di regia, perdendo, per farlo, qualche mese e molte competenze.

Nessuno ha considerato che c’era un precedente in Italia che indicava la necessità di optare per l’altra strada rispetto a quella scelta. Il precedente era la Cassa per il Mezzogiorno, che nella prima fase in cui non esistevano le Regioni ha funzionato complessivamente bene. Essa era nata per ovviare all’incapacità dimostrata dalla amministrazione pubblica italiana di spendere i fondi del piano Marshall.

Ora il governo Meloni annaspa. Scopre che vi è stata una dispersione fra centinaia di piccoli progetti. Ma come poteva essere altrimenti, se con il PNRR si dà ai Comuni la possibilità di concorrere alla ripartizione dei fondi? Il governo vorrebbe adesso accorpare le risorse in pochi grandi progetti, spostando i fondi sulle grandi Utilities semipubbliche: ENEL, ENI, Terna che probabilmente sono in grado di spendere più rapidamente. L’Italia ha bisogno di scuole, università, ospedali e infrastrutture dei trasporti e queste necessità non devono essere dimenticate, così come quella di riavvicinare i tassi di sviluppo del Nord e del Sud del Paese. Invece verranno fatte altre cose, solo perché così si riusciranno a spendere più risorse.

Un’ultima osservazione: il governo nel trasferire competenze ad una cabina di regia posta a Palazzo Chigi sembra aver compreso il rischio di affidarsi ad una miriade di stazioni appaltanti. Ci chiediamo come si concili questa tardiva consapevolezza con il contemporaneo richiamo all’urgenza di introdurre con legge costituzionale l’autonomia speciale delle Regioni. A noi sembra una contraddizione nefasta per il Paese, che non può essere giustificata dall’esigenza di tenere in piedi una maggioranza divisa su molte, troppe cose.


Giorgio La Malfa

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