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Recovery Fund: gutta cavat lapidem

Nel suo intervento alla Assemblea di Confindustria il Presidente del Consiglio ha testualmente dichiarato: “Ci doteremo, per il nostro piano nazionale di ripresa, di uno strumento normativo ad hoc; ne abbiamo bisogno non c’è altra strada. Una struttura normativa dedicata con norme specifiche e soggetti attuatori dedicati che garantisca un monitoraggio trasparente e tempi di attuazione certi.”

I nostri lettori ricordano certamente che sul tema di come organizzare i lavori in vista del Recovery Fund Il Commento Politico è intervenuto più e più volte in questi mesi. La tesi che avevamo sostenuto è che una mole così ingente di investimenti non poteva né essere programmata, né essere eseguita senza istituire una struttura apposita in grado di raccogliere, selezionare, realizzare gli investimenti. Proponevamo che il Governo predisponesse un disegno di legge che prevedesse la creazione di un’agenzia che riassumesse in sé il compito di programmare e realizzare il piano. Aggiungevamo che questa agenzia avrebbe assicurato l’indispensabile collegamento e l’interlocuzione con le istituzioni europee.

Avevamo scritto tutto questo a commento dei famosi “Stati generali” dell’economia dai quali emergevano contenuti disparati, ma non idee sul modo di organizzare la cernita dei progetti, la loro selezione in vista della successiva esecuzione. Ci aveva colpito, ma non sorpreso, che i cosiddetti esperti di economia, attivissimi sui giornali e nelle trasmissioni televisive, avevano parlato di tutto e in particolare dei contenuti che secondo loro doveva avere il piano italiano, tranne che di questo tanto semplice quanto concreto aspetto organizzativo. Così ci era sembrato un segno di povertà del dibattito politico italiano che né esponenti della maggioranza, né esponenti dell’opposizione, che pure avrebbero potuto utilizzare queste nostre proposte polemicamente nei confronti del governo, le avessero raccolte.

Ora il Presidente del Consiglio ha fatto propria quell’idea e questo non può che farci piacere. E tuttavia, il professor Conte, evidentemente consapevole delle difficoltà politiche di una impostazione come quella che noi proponiamo – specialmente avendo tardato tanto a proporla – ha scelto una specie di soluzione intermedia. Ha detto che questi soggetti nuovi da istituire per legge saranno soggetti attuatori e saranno sei, uno per ogni grande capitolo del piano di investimenti. Con ciò, però, il Presidente del Consiglio potrà pensare di risolvere uno dei tre problemi del piano, cioè il problema dei tempi di attuazione, ma ne lascia aperti due che per molti aspetti sono più importanti. Il primo è quello della scelta dei progetti in cui si concretizza il piano. Il Governo per bocca del presidente del Consiglio e del ministro dell’economia ha assicurato più volte che si sceglieranno solo “buoni” progetti (nel senso dell’aggettivo usato da Mario Draghi nel suo intervento al meeting di Comunione e Liberazione) ed ha anche precisato che i progetti prescelti dovranno contribuire a raddoppiare il tasso di crescita dell’economia e a fare aumentare del dieci per cento il tasso di occupazione. Ora, se si prendono seriamente questi propositi - e non vi è ragione di non farlo - non si tratta solo di attuare i progetti prescelti, si tratta di scegliere quelli che sono in grado di realizzare questi obiettivi. Questa non può essere un’opzione politica. Deve necessariamente essere una scelta tecnico-economica nella quale vengono posti a confronto tutti i progetti e approvati quelli in grado di realizzare gli obiettivi dichiarati dal Governo.

Capiamo che il professor Conte tema di dover concedere ai suoi partner di governo la possibilità di intestarsi certi progetti, ma scoprirà presto che anche le regioni, i comuni e, perché no, le province pretenderanno di intestarsi dei progetti e se non avrà introdotto un criterio di selezione tecnico-economica non sarà in grado di opporsi a una ripartizione politico-istituzionale e con questo dovrà dire addio all’obiettivo di scegliere solo progetti “buoni”.

Il governo non sembra essersi reso conto che questo è il primo nodo. Ma siamo sicuri che con il tempo se ne renderà conto.

Il secondo problema era ed è quello dei rapporti con l’Europa. Abbiamo scritto più volte che serve porre al vertice di questa nuova struttura una personalità di prestigio europeo che possa interloquire con l’Europa. Oggi un articolo molto puntuale di Giuseppe Chiellino sul Sole 24 Ore ci informa che la “task force per gestire il Recovery Fund, annunziata ieri dal premier Giuseppe Conte, non è una invenzione italiana, ma nasce dalla precisa richiesta della Commissione Europea” che vuole “un interlocutore unico”.

Chi si prenda la briga di rileggere le pagine del Commento Politico saprà che i temi dell’agenzia, dell’interlocutore unico con l’Europa, della necessità di una legge apposita erano stati suggeriti per tempo al Governo italiano. Se l’Italia si fosse dotata per tempo di un apparato come quello che avevamo suggerito, ora forse le difficoltà che la Germania sta incontrando nel far passare l’idea stessa del Next generation EU, e che spesso hanno come pretesto il problema italiano, sarebbero minori.

Comunque, poiché il Recovery Fund subirà quasi certamente un ulteriore ritardo, c’è ancora tempo per l’Italia per prepararsi adeguatamente. Il che significa realizzare il disegno nei termini integrali in cui lo avevamo proposto, mossi esclusivamente dall'interesse generale del Paese.

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