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Recovery, si è finalmente aperto il dibattito sul piano italiano

Sono molto severi i giudizi contenuti nell’ampia intervista che Romano Prodi ha dato stamane al Corriere della Sera sulla qualità dei documenti finora prodotti dal governo in preparazione del piano italiano di utilizzo dei fondi europei: sia sui progetti, sia sulle procedure operative. Dice Prodi: “Ho qui davanti i documenti del governo e non vedo ancora idee chiare su come saranno spesi.” E spiega: “…si rimane sul generico se non si affrontano due problemi: quali debbono essere le autorità chiamate a decidere e quali le procedure e gli atti necessari per arrivare alle decisioni.”

I lettori del Commento Politico sanno che, da maggio scorso, abbiamo scritto che, se non si fossero definiti in modo adeguato i due problemi dei quali parla Prodi, il piano italiano non sarebbe potuto partire. Abbiamo anche aggiunto che se alla fine si fosse definita una strada, ma si fosse scelta una strada sbagliata, le conseguenze sarebbero state ancora più gravi: il piano si sarebbe arenato o non sarebbe stato efficace.

I sei mesi trascorsi hanno confermato queste previsioni. Che cosa è rimasto delle iniziative presentate dal governo con tanto clamore? Che fine ha fatto il piano Colao? E i gli Stati generali? E il Ciae? E la richiesta alle amministrazioni di presentare le loro proposte?

Oggi si scopre l’urgenza di definire le procedure. Prodi nella sua intervista riconosce che ci sono solo due strade possibili. Una – dice lui stesso – è quella proposta dalla Fondazione Ugo La Malfa: una struttura creata per l'occasione nella quale si concentrino la selezione dei progetti e la loro esecuzione; una struttura affidata a una personalità che goda di grande rispetto in Italia e in Europa. I nomi che abbiamo fatto sono quelli di Mario Draghi, ma anche di Paolo Cottarelli o di Sabino Cassese.

Dice Prodi: è una soluzione interessante, ma si scontrerebbe forse con l’ostilità della pubblica amministrazione. Per cui sarebbe meglio affidarsi alle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali, coordinandone l’azione e magari rafforzandole con degli esperti.

Accanto all’intervista a Prodi, nel suo articolo di fondo sullo stesso Corriere della Sera, Maurizio Ferrera scrive che la pubblica amministrazione non funziona e che le riforme promosse dal governo per migliorane l’azione sono destinate all’insuccesso. Del resto, lo stesso Prodi dice di conoscere “le debolezze” della pubblica amministrazione e di avere recentemente formulato un manifesto per promuoverne la riforma.

La domanda che facciamo è: l’Italia può permettersi di affidare il piano italiano a strutture che già ordinariamente si sono rivelate incapaci di utilizzare le risorse messe loro a disposizione e che tutti, a cominciare dal governo, dichiarano inefficienti?

La proposta della Fondazione Ugo La Malfa è che a uno strumento straordinario come il Next generation EU si risponde con la creazione di uno strumento altrettanto straordinario, come fece De Gasperi istituendo la Cassa per il Mezzogiorno e come fu fatto due anni fa per la ricostruzione del ponte Morandi. Perché vogliamo dimenticare, oggi, due esperienze che hanno funzionato bene e insistere su modelli di scarsa affidabilità, ancorché corretti con l’introduzione di collaboratori tecnici? Ma chi li sceglie questi tecnici, e soprattutto chi li imporrà a una pubblica amministrazione cui si conferma la fiducia ma a cui si fa balenare lo spettro del commissariamento? L’Italia non è nelle condizioni di sbagliare.

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