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Un grazie a Sergio Mattarella


In questi giorni è normale ed anche giusto che si parli di Mario Draghi e a ancor più se ne parli nei prossimi giorni. Il presidente del Consiglio in pectore è uomo dalle straordinarie capacità ed ha accettato di porre la sua competenza e la sua lungimiranza al servizio dello Stato e di una comunità nazionale profondamente ferita dall’epidemia e dalla crisi economica.

Ma nella giornata odierna, che fa da spartiacque tra le consultazioni e la salita al Quirinale del presidente incaricato, riteniamo indispensabile esprimere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella gratitudine e ammirazione.

Renzo Piano, un altro grande italiano che come Draghi riscuote unanime consenso in patria e all’estero, cita spesso il giuramento di Pericle agli ateniesi, secondo cui è dovere dei governanti restituire ai cittadini una città migliore di quella che avevano trovato assumendo pubbliche responsabilità.

Bene. Questo è esattamente ciò che il Capo dello Stato ha fatto, in particolare in questa legislatura nata sotto i peggiori auspici ed all’insegna di populismi e sovranismi vittoriosi e dilaganti.

Nell’attuale fase politica, mentre sta per nascere un governo d’emergenza, tornano di moda, rivedute e corrette, formule come “Torniamo allo Statuto”, perché probabilmente si vede declinata alla lettera l’applicazione più scheletrica delle norme costituzionali relative alla formazione del governo.

Questa impostazione circa le decisioni del Capo dello Stato ci sembra un po’ schematica.

A nostro avviso, Sergio Mattarella è stato invece il più attento, misurato ed intelligente custode dello spirito profondo della nostra Costituzione che, accanto alle disposizioni relative al funzionamento delle istituzioni, prevede compiti di rilevanza costituzionale per i partiti politici.

Nella prima fase della legislatura, dopo le elezioni del marzo 2018, egli ha così accompagnato il difficile sforzo di forze politiche contrapposte, come la Lega e i Cinquestelle: uno sforzo diretto alla formazione di un governo. Non che, ovviamente, non vedesse quanto fragile potesse rivelarsi quella formula politica, ma essa si presentava come l’unica possibile per evitare che un Paese già allora in preda ad una crisi economica senza fine fosse ulteriormente stressato da elezioni a ripetizione.

Quando poi, nell’agosto 2019, la debolezza di quella alleanza si rivelò, come era prevedibile, più forte dello spirito di coalizione, il Presidente della Repubblica, al fine di porre in qualche modo in sicurezza i conti pubblici, ha messo in campo tutta la sua esperienza e pazienza perché una nuova, altrettanto imprevista maggioranza venisse alla luce. Anche questa si è rivelata una scelta saggia e operata nell’interesse del Paese. Quando infatti, nei primi mesi del 2020, è scoppiata un’epidemia di proporzioni inimmaginabili, la comunità nazionale non si è ritrovata in balia di un marasma politico ma ha potuto contare su un punto di riferimento, come il governo Conte 2, sorretto da una stabile maggioranza parlamentare. Proprio perché questa condizione si era realizzata ed era in piedi, Sergio Mattarella ha potuto esprimere in pieno tutta l’autorevolezza di cui gode in sede europea – ed in particolare in Germania – per consentire all’Italia di contribuire all’evoluzione della politica economica dell’Unione verso una nuova e non più restrittiva impostazione, che ha dato vita al Recovery Fund e agli altri strumenti apprestati per contrastare la grave crisi economica determinata dalla pandemia.

Quando, infine, nello scorso gennaio, anche la maggioranza che sosteneva il governo Conte 2 è implosa, il Capo dello Stato ha nuovamente contemperato le prerogative costituzionali delle istituzioni e della politica, affidando al presidente della Camera - e cioè alla carica istituzionale più vicina alle sensibilità della maggioranza uscente – il compito di verificare se i motivi di contrasto potessero essere superati e, solo dopo il fallimento dell’esplorazione di Roberto Fico, ha ritenuto necessario ricorrere all’interpretazione più stretta delle norme costituzionali relative al processo di formazione del governo. Da questa cronologia degli eventi è nato, infatti, l’incarico a Mario Draghi che in queste ore sembra avviato a felice e largamente condivisa conclusione.

È auspicio di tutti che il nuovo governo possa rispondere efficacemente ai compiti che la grave situazione del Paese comporta.

Nel frattempo, ai partiti correrà l’obbligo non solo di aprire una profonda riflessione sui modi con i quali determinare nuovi e più saldi equilibri politici, ma anche di sostenere efficacemente l’azione del nuovo governo.

Per farlo, dovranno certamente chiedersi quale sia il tempo minimo necessario per consentire a Mario Draghi di affrontare con successo l’impervia sfida che ha di fronte. Un anno? Due anni? Sono scadenze diverse che necessariamente si incroceranno con quella dell’elezione del nuovo Capo dello Stato, prevista nei primi mesi del prossimo anno.

Si tratta di un tema che, come si vede, imporrà alle forze politiche scelte all’altezza dei problemi.

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