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Un vuoto da colmare

La seconda ondata dell’epidemia è arrivata. Come previsto, del resto. Negli ultimi dieci giorni si sono levate critiche all’operato del governo non solo dall’opposizione ma anche da molti ambienti che fin qui avevano giudicato positivamente l’azione dell’esecutivo. In particolare le censure si sono concentrate sulle movide senza controllo, a cominciare dalle discoteche estive, sulla scarsa sicurezza nei mezzi pubblici, affollatissimi con la riapertura delle scuole, sull’inesistente vigilanza fuori degli istituti scolastici e soprattutto sulla difficoltà di accesso a strumenti diagnostici, come i tamponi, che siano ad un tempo sicuri e celeri.

Anche Il Commento Politico, con un articolo del professor Cesare Greco, si è soffermato su queste carenze con particolare riferimento al mancato rafforzamento della medicina territoriale di base.

La stabilità del governo non sembra tuttavia in pericolo. Per il presente e per l’immediato futuro l’esecutivo può disporre di formidabili firewalls, finanziari, politici ed istituzionali. Vediamo quali.

In primo luogo la manovra di bilancio: altri 40 miliardi saranno resi disponibili dagli scostamenti di bilancio e dal persistere di un atteggiamento della Bce che ha ridotto lo spread a livelli molto bassi. Tutto ciò consentirà di rassicurare un’opinione pubblica nuovamente timorosa e alla ricerca di immediata protezione. Cassa integrazione e divieto di licenziamenti saranno prorogati fino alla fine dell’anno. Altri ristori saranno previsti per le categorie più esposte ad eventuali nuove restrizioni.

Su un più generale piano politico, l’immagine del governo è destinata ad essere scarsamente logorata fin quando la situazione degli altri Paesi occidentali, a cominciare da Francia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti, rimarrà non solo simile ma peggiore di quella italiana. I provvedimenti adottati negli altri Paesi, sempre più vicini a lockdown quasi totali, renderanno comprensibili e digeribili le misure più graduali che il governo sembra voler prendere.

Sul piano istituzionale, infine, la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni in materia sanitaria rappresenta un rilevante sfiatatoio nell’assunzione di responsabilità certe. Il rimpallo di accuse tra i due livelli di governo dell’epidemia, già iniziato, è destinato a favorire l’esecutivo dal momento che il governo ha deciso di operare restrizioni il più possibile limitate, lasciando alle regioni la possibilità, ma anche l’onere, di scelte più indigeste per l’opinione pubblica. Lo Stato centrale ha stabilito le priorità: attività produttive e scuola. Di tutto il resto dovranno occuparsi le Regioni, per le quali peraltro si è già votato e delle cui ulteriori decisioni che si rivelassero nocive per parte della popolazione tenterà di farsi carico il governo, attingendo ad una quota di quei 40 miliardi da spendere entro la fine dell’anno.

Quei 40 miliardi, tuttavia, sono gli ultimi. I cospicui fondi europei, per i quali va riconosciuto al governo il merito di aver brillantemente negoziato, non arriveranno prima della seconda metà dell’anno prossimo e saranno comunque disponibili solo se i programmi italiani di utilizzazione delle risorse si riveleranno coerenti con i parametri e gli obiettivi generali che l’Europa si è data per far ripartire lo sviluppo e l’occupazione in modo certo e duraturo.

A partire dal prossimo gennaio si apre quindi un vuoto da colmare. Un vuoto che non sarà solo finanziario, economico e sociale. Sarà soprattutto un vuoto politico, che, come tutti i vuoti, non potrà non essere colmato. Quando le risorse nazionali saranno esaurite ma l’epidemia sarà ancora tra noi, per di più incanaglita da una crisi sociale non più mitigata dagli interventi di sostegno ad imprese e famiglie, si renderà necessario un sovrappiù di autorevolezza in chi guida la nazione. L’attuale maggioranza, anzi per meglio dire l’attuale Parlamento, non è disposto ad autosciogliersi. Soprattutto dopo il taglio dei parlamentari previsto per la prossima legislatura. Quale sarà allora la formula per arrivare al 3 agosto del prossimo anno, la data in cui inizia il semestre bianco e cioè il momento a partire dal quale il Presidente della Repubblica non può più sciogliere le Camere?

Chi potrà ottenere dagli italiani la fiducia di aspettare per altri mesi fin quando i fondi europei non si renderanno disponibili? Chi sarà il nuovo Churchill capace di convincere il proprio popolo che la guerra sarà vinta mentre Londra è bombardata ogni notte?

È significativo che già da qualche tempo, consapevoli della dura prospettiva che attende il Paese da gennaio, molti autorevoli rappresentanti politici e molti acuti osservatori, abbiano cominciato ad adombrare l’ipotesi di un rimpasto di governo.

È la soluzione più soft, ma la meno convincente. L’Italia non è la Francia, dove il Presidente scarica la responsabilità delle difficoltà su singoli ministri o in certi casi sull’intero governo, operando una rinfrescata di immagine che però non lede nell’opinione pubblica la certezza di una guida sicura al vertice dello Stato. Da noi un rimpasto finirebbe non a rafforzare ma ad indebolire ulteriormente il governo in carica. Finché se ne parla, possono permettersi di parlarne sia i potenziali uscenti sia i potenziali subentranti. Quando lo hai fatto, ti restano i subentranti e gli uscenti si trasformano in nemici.

Restano quindi solo due soluzioni: cambiare governo o ridare al governo in carica la nuova autorevolezza necessaria a supplire alla mancanza di strumenti immediati di interventi in favore dei cittadini. Un’autorevolezza che faccia permanere intatta la speranza che la nottata passerà.

Ci sono diversi elementi che fanno pensare che un cambio alla guida del governo possa cominciare ad essere per questa maggioranza, più che in passato, una soluzione percorribile. Tre, in particolare. Il primo è che a gennaio sarà probabilmente intervenuto il chiarimento definitivo all’interno dei Cinquestelle con l’emersione di una guida più certa ed una prospettiva politica più definita. Il secondo è che, stabilizzatasi la condizione dei vertici dei due principali partiti della coalizione, (la segreteria di Zingaretti è già stata rafforzata dal voto regionale), possa emergere prepotentemente e d’improvviso quel fastidio latente verso il Presidente Conte che i partiti della sua coalizione hanno fin qui fatto emergere solo larvatamente di fronte all’evidente tentativo del premier di accentrare il più possibile su di sé la gestione dei fondi europei. Il terzo, infine, è che un cambio di leadership eliminerebbe un avversario temibile nella prossima corsa al Quirinale.

Il Commento Politico finora ha ritenuto che il governo non avesse alternative e ha concentrato la propria attenzione sulle cose che esso avrebbe potuto fare nell’interesse del Paese. In questo quadro ha insistito da molti mesi sulla necessità di apprestare una soluzione istituzionale adeguata per l’utilizzazione dei fondi europei. Oggi osserviamo, alla luce delle considerazioni politiche svolte, che la nostra proposta, più volte ostinatamente avanzata, di dotare il governo di una struttura autorevole per una corretta utilizzazione del Next Generation UE si veste ora di una cifra ulteriore e se possibile ancora più decisiva. Creare un unico “centro motore” del programma italiano costituirebbe oggi una scelta che non solo garantirebbe – il che già non sarebbe poco - la più efficace utilizzazione delle risorse europee. Essa rinvigorirebbe il governo perché, senza controproducenti rimpasti, la sua credibilità uscirebbe rafforzata dalla presenza – a latere - di figure di indubbia autorevolezza per l’opinione pubblica. Avevamo pensato e tuttora pensiamo che la soluzione ideale sarebbe costituita da Mario Draghi, tuttavia altre figure potrebbero essere individuate a cominciare da quella di Carlo Cottarelli.

Ma c’è di più. I primi mesi dell’anno prossimo saranno difficilissimi e sarà necessario un autentico ed unitario spirito di convergenza nazionale. Fin qui un qualche coinvolgimento dell’opposizione è stato recitato dai due fronti in guisa di reciproca giaculatoria. La maggioranza recitava la sua senza alcun desiderio effettivo di compartecipare scelte e risorse; l’opposizione la sua, ma restia a farsi coinvolgere veramente in decisioni che ne avrebbero compromesso la capacità di protesta. Ebbene, la creazione di una struttura capace di scegliere, nell’ambito di linee guida ovviamente decise dell’autorità politica, i progetti comparativamente migliori, curandone insieme tempi e modalità di realizzazione e la creazione di una struttura parlamentare di controllo nella quale trovassero posto anche gli esponenti delle opposizioni, rappresenterebbe il presupposto e la garanzia per quel momento di relativa concordia nazionale cui giustamente richiama il Capo dello Stato, consapevole dei gravi momenti che attendono il Paese.

Infine, il versante europeo. Il “centro motore” che proponiamo verrebbe accolto con grande favore a Bruxelles. La Commissione ce ne ha più volte suggerito la creazione. Muoversi in tal senso faciliterebbe l’erogazione delle risorse per la serietà oggettiva dei progetti presentati e fugherebbe ogni sospetto di Bruxelles circa una spartizione politica dei fondi.

È difficile prevedere se il governo e in particolare il presidente del Consiglio avrà l’energia per cambiare fase rinunziando a quella che finora è stato una specie di gioco di equilibrio fra 5 Stelle e PD. Se però il governo, predisposta la manovra di bilancio, vorrà riflettere su come conciliare l’interesse nazionale con la sua sopravvivenza, forse sarebbe meglio che cominciasse a farlo il più presto possibile.

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