I Ministri (quale che sia il Governo) non sono tenuti a sapere che nel 2001 George Akerfol, Michael Spence e Joseph Stiglitz ebbero il Premio Nobel per i loro contributi teorici in materia di economia dell’informazione e della comunicazione.
Ancor meno debbono essere a conoscenza che i primi studi in questo campo di Stiglitz vennero fatti negli Anni Settanta del secolo scorso al Development Institute della Università di Nairobi con Michael Todaro, Richard Jolly, John Harris ed un italiano di passaggio. Allora il problema pratico di politica economica era comprendere la forte immigrazione dalle zone rurali; la stampa di Nairobi dava una visione illusoria delle «luci della città» e delle conseguenti opportunità, con implicazioni tutt’altro che positive.
In effetti, l’economia dell’informazione e della comunicazione si è sviluppata tardivamente e poco in Italia, nonostante sia un anello di congiunzione importante tra micro-economia e macro-economia. È interessante notare che una delle ultime, se non l’ultima ricerca pubblicata dalla Scuola Nazionale d’Amministrazione riguardi un tema allora molto «caldo»; in che modo, l’informazione giornalistica abbia inciso sui movimenti dei prezzi negli anni della transizione dalla lira all’euro. Attente analisi quantitative, anche econometriche, concludevano che c’erano stati aumenti dei prezzi in quei settori in cui la stampa quotidiana, spesso non bene informata o non informata dalle fonti giuste in modo corretto, aveva insistito che produttori e venditori avrebbero ritoccato i prezzi all’insù.
Queste considerazioni e, soprattutto, questi elementi fattuali, spiegano perché stiamo finalmente uscendo da una fase un po’ caotica di comunicazione (istituzionale o para-istituzionale) dai Palazzi romani, ossia quella dei Ministeri e della Presidenza del Consiglio. Una fase in cui il portavoce di Palazzo Chigi chiamava sui cellulari i giornalisti «amici» per dare loro «dritte» su documenti in preparazione e giungeva anche a fare minacciare l’allontanamento di alti «public servants» non in linea con la sua parte politica. Una fase in cui di materie così delicate come la pandemia, i vaccini, le implicazioni sulle scuole parlavano un po’ tutti: consulenti di vario ordine e grado, commissari più o meno straordinari, funzionari internazionali in procinto di essere pensionati per limiti di età. Non era quel «coro del Verdi, coro a Dio, là dei lombardi miseri assetati» di cui ci parla Giuseppe Giusti, ma un cacofonico «coretto a cappella» che ha spesso disorientato gli ascoltatori. E creato danni.
Vale la pena ricordare che il primo vero Ministro dell’Economia e delle Finanze della storia, Jean Baptiste Colbert, comunicava unicamente tramite decreti: non ha lasciato né una dichiarazione né un articolo né un saggio. Ma tanti decreti che danno corpo ad una politica economica coerente con cui si può essere o non essere d’accordo.
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha, in un certo qual modo, esortato i Ministri del Governo da lui presieduto a seguire l’esempio di Colbert ed a comunicare «con i fatti». Ha annunciato una riorganizzazione dei servizi stampa e comunicazione di Palazzo Chigi in modo che i giornalisti abbiamo informazione tempestiva e, soprattutto, corretta sui provvedimenti in cantiere.
È auspicabile che i Ministri seguano questa strada. Nei confronti di consulenti, commissari e portavoce in crisi di astinenza dalle telecamere, c’è la misura adottata, nel primo atto de «Il Flauto Magico» di Mozart, dalle Tre Dame nei confronti di Papageno: la mordacchia.
Bagehot
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