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Giovanni Spadolini

Alla scomparsa di mio padre nel marzo del 1979, vi fu un profondo smarrimento nel PRI. Era venuta meno una personalità che negli anni della sua leadership aveva sottratto il partito a quello che fino ad allora era sembrato il destino di un costante ed inevitabile declino elezione dopo elezione, aveva saputo rinnovare  profondamente i gruppi dirigenti nazionali e locali attraverso importanti  nuove adesioni di personalità  della cultura, dell’economia e delle professioni ed aveva infine assicurato al partito un peso nella vita politica che andava ben oltre l’ampiezza dei suoi consensi a livello nazionale e locale. Sembrava assai difficile riuscire a trovare qualcuno che potesse dare un seguito adeguato a una leadership così autorevole in cui si erano fuse la passione civile, l’ampiezza dei riferimenti culturali, un pensiero politico originale e una grande capacità d’iniziativa.

Nel diffuso pessimismo di quei mesi vi erano solo due nomi che venivano presi in considerazione, ambedue con i loro pro e contro: Bruno Visentini e Giovanni Spadolini. Nel gruppo dirigente le preferenze andavano, fra i due, a Bruno Visentini, non foss’altro che per la lunga milizia nel partito, anche se mai fino ad allora in posizioni di esplicito rilievo politico. Spadolini era stato eletto al Senato nel 1972 come indipendente nelle liste del PRI. Aveva poi aderito al partito, ma era percepito come una personalità estranea alla storia del PRI, un uomo che era stato in passato più vicino ad altre forze dell’area laica e che non aveva dato l’impressione, come direttore del Resto del Carlino, negli anni Cinquanta e Sessanta, di condividere in pieno l’impegno con cui i repubblicani avevano perseguito la nascita del centrosinistra.

In realtà, il partito non dovette operare una scelta fra queste due figure. Fu Visentini a sottrarsi decisamente alla responsabilità che gran parte del gruppo dirigente avrebbe voluto affidargli. Fece sapere che egli non intendeva assumersi il peso della segreteria, che riteneva incompatibile con altri suoi impegni di lavoro e di vita, e si offerse come presidente di un partito il cui segretario sarebbe stato Giovanni Spadolini. Così si procedette. Eletto segretario il 23 settembre 1979, Spadolini si gettò con grande impegno nell’impresa, rivelando una ferma volontà non solo di assicurare la visibilità politica del partito a livello nazionale, ma anche di farsi carico dell’impegno quotidiano di rapporti con la base, impegno importante per la segreteria in un momento in cui cresceva la presenza repubblicana nelle diverse realtà locali.  E inaspettatamente, visto che come accademico e come giornalista si era affermato soprattutto come un uomo di cultura, Spadolini rivelò presto delle qualità politiche autentiche.

Certo, anche se non fu immediatamente evidente, egli modificò profondamente la linea politica che era stata di Ugo La Malfa nel corso degli anni Settanta e che era fondata su una definitiva constatazione dell’inadeguatezza della formula di centrosinistra e sulla ricerca di strade nuove per affrontare il problema politico del Paese. È vero peraltro che lo stesso La Malfa aveva dovuto constatare nel dibattito parlamentare del dicembre 1978 sull’adesione dell’Italia allo SME e nella successiva crisi di governo, che Berlinguer e il PCI tendevano a fare dei passi indietro e a ricollocarsi all’opposizione, cosicché veniva meno l’ipotesi di una unione delle grandi forze politiche per fronteggiare i due grandi problemi del paese: il terrorismo e l’inflazione. Ma La Malfa non sembrava che avesse attribuito nessuna possibilità di un’azione positiva da parte di un ricostituito centrosinistra, anche per il suo giudizio radicalmente negativo sul PSI sotto la leadership di Bettino Craxi.

Spadolini invece, pur non rinnegando apertamente le aperture di Ugo La Malfa verso il Partito Comunista, puntò a ristabilire, o meglio a stabilire ex novo, i rapporti con il PSI. Una sua spregiudicata commistione fra formule politiche e riferimenti culturali coprì i passi di avvicinamento con il PSI, fino a far pensare retrospettivamente – nel riflettere sulle vicende dell’avvicendamento fra il governo Spadolini nell’‘81-‘82 e il governo Craxi nell’‘83-‘87 – che vi possa essere stata un’esplicita intesa fra il primo e il secondo accordo per favorire la nascita di ambedue quei governi. Se ne ebbe una indiretta conferma quando, all’indomani del successo nelle elezioni politiche del 1983 in cui il PRI aveva marcato la sua diversità dagli altri partiti del centrosinistra, Spadolini accettò di entrare nel governo Craxi in una posizione tutto sommato minore come quella di ministro della Difesa, quasi a suggello di un accordo precedente.

Certo è che, a metà del 1981, lo scoppio dello scandalo della Loggia P2 aprì la strada alla presidenza del Consiglio di Spadolini, primo premier non democristiano dai tempi del governo di Ferruccio Parri. Spadolini ebbe il pieno sostegno del PSI, mentre la DC non poté fare altro che accettare la svolta. Spadolini portò nel governo il Partito Liberale: anche questo è un segnale che vi fosse un’intesa politica sottostante con Craxi che aveva fatto del PLI una specie di alleato stabile del PSI, utile proprio per indebolire il PRI. Se da un lato l’ingresso dei liberali in maggioranza rafforzava la coalizione, dall’altro le dava un carattere di chiusura a sinistra date le tradizionali posizioni incarnate dal Partito Liberale. In sostanza, si era tornati al centrosinistra senza se e senza ma, chiudendo definitivamente la porta all’esperienza della solidarietà nazionale. Il PRI, nella sorpresa e nell’entusiasmo della presidenza del Consiglio attribuita a un proprio esponente, si immedesimò in Spadolini e, per la prima volta, lo considerò a pieno titolo come suo leader.

Come presidente del Consiglio, Spadolini dimostrò doti inequivocabili. Se poteva apparire, per il tratto e per la complessione, un uomo di pensiero ma non di azione, come capo del governo diede l’impressione di una capacità formidabile di dominare i dossier e di controllare l’agenda politica. Non diede mai il senso di essere colto di sorpresa dagli avvenimenti internazionali ed interni e quando la DC e il PSI, preoccupati per il consenso che l’opinione pubblica andava manifestando intorno alla sua opera, cominciarono a indebolire il governo, Spadolini fu pronto a scaricare su di loro le responsabilità della crisi e a raccogliere nelle elezioni del 1983 un successo formidabile. Il PRI superò il 5% su base nazionale e nelle grandi città, a cominciare da Milano e Torino, si collocò sopra il PSI e alle spalle della DC e del PCI.

Il prezzo fu però che il Partito Repubblicano aveva cambiato pelle. Di questo ero acutamente consapevole e allarmato. Personalmente, avevo verso Spadolini un sentimento di grande simpatia ed amicizia: eravamo stati eletti nello stesso anno, lui a Milano ed io a Torino, e nella mia difficile campagna elettorale a Torino con il partito locale che si opponeva apertamente alla mia elezione, ebbi il sostegno di un comizio che tenemmo insieme a Torino qualche giorno prima del voto e che probabilmente mi assicurò l’elezione. Ma con tutto questo, quando da Pertini ricevette l’incarico di formare il governo, io che come ministro del Bilancio conoscevo bene la situazione dei conti, lo misi in guardia dall’accettare. Gli dissi che avrebbe avuto contro la DC e il PSI, uniti nel sostegno delle spese pubbliche improduttive di cui la responsabilità sarebbe ora caduta sul PRI che così avrebbe dovuto smentire le sue tradizionali posizioni di rigore, e che anche i sindacati, non solo la CGIL che faceva capo al PCI, ma anche la CISL e la UIL che facevano capo alla DC e al PSI, si sarebbero rifiutati di collaborare nella lotta all’inflazione.

Spadolini ascoltò quelle osservazioni. Secondo me capì benissimo, perché aveva una intelligenza viva e veloce come raramente ho avuto occasione di incontrare nella vita politica. Ma decise che era in grado di fronteggiare questi rischi se non con i fatti, almeno con le parole. E così sembrò che fosse quando nel 1983 il partito colse il successo elettorale di cui ho detto. Tuttavia, l’immagine era stata profondamente alterata e ancor più lo fu quando, all’indomani delle elezioni in cui il voto al PRI segnalava un apprezzamento per la nostra distanza dai giochi di palazzo della DC e del PSI, nacque il governo Craxi ed in esso trovarono posto Spadolini e Visentini, ambedue in posizioni di seconda fila, alla Difesa e non agli Esteri l’uno, alle Finanze e non al Tesoro l’altro.

Tanto questo era vero che, a partire da quel momento e fino a quando nel 1992 il PRI non si collocò all’opposizione, tutte le elezioni segnarono un declino del consenso elettorale rispetto al picco del 1983.

Il fatto è che Spadolini era un uomo interno al sistema, tanto quanto mio padre era stato esterno ad esso. Probabilmente lo studio della storia e l’intensa frequentazione con i personaggi del mondo postrisorgimentale aveva dato a Spadolini il senso che non si poteva immaginare una palingenesi dell’Italia e che bisognasse per così dire fare il fuoco con la legna che era a disposizione, senza voli pindarici o astrattezze ideologiche. Difficile dire se avesse ragione lui nel suo scetticismo di fondo e nel suo attivismo quotidiano o se avesse ragione l’altra anima del PRI, prudente nel giorno per giorno, ma attenta a costruire qualcosa di coraggioso per il futuro. Pur riconoscendo, come è giusto, a Spadolini delle grandi qualità, è inevitabile mettere in evidenza questo limite del far prevalere l’oggi sul domani.

Era un uomo delle istituzioni? Certamente, anche per la sua grande integrità personale. Ma era anche un uomo attento a vivere nelle istituzioni e quindi in qualche modo disposto a rinunciare a guardare a un futuro lontano. Una volta lessi, di un politico della Francia del XIX secolo, che egli sarebbe stato un uomo che vedeva lontano se non vi fosse stato di mezzo lui stesso. Ho pensato molte volte che questo fosse il limite della pur notevole personalità di Spadolini. Ma certo stiamo parlando di un personaggio di grande spessore che avrebbe potuto servire ancora il Paese se una grave malattia non lo avesse sottratto alla vita italiana 30 anni fa di questi giorni, quando non aveva ancora 70 anni.

 

Giorgio La Malfa


2 agosto2024

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1 comentário


Membro desconhecido
04 de ago.

Spadolini manca a questa poltica e all'Italia, oggi differente ma non meno complessa. Interessante articolo e sintesi.

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