L'imbarazzo dell'on. Meloni nelle comunicazioni di ieri alle Camere in vista del Consiglio europeo chiamato a designare i nuovi vertici delle istituzioni europee era palpabile. Il compito non era facile dopo la comunicazione di popolari, socialisti e liberali di avere confermato l’accordo politico che ha retto in questi anni l’Europa e di avere raggiunto un'intesa sulle quattro posizioni di vertice, Consiglio, Commissione, Parlamento, Rappresentante della politica estera dell’Unione. Questo annuncio, del resto prevedibile una volta che l’esito del voto europeo, pur indicando un rafforzamento dei movimenti di destra, ha comprovato l’esistenza della maggioranza precedente, ha fatto emergere una divaricazione fra il ruolo di Giorgia Meloni come presidente del Consiglio e quello di leader di Fratelli d’Italia, membro dello schieramento di destra nel Parlamento Europeo. Si trattava infatti di scegliere fra due possibili posizioni: accettare l’accordo europeo, come è nell’interesse dell’Italia, riconoscendo di fatto l’irrilevanza politica della presidente del Consiglio; oppure protestare per la conferma dell’intesa fra popolari, socialisti e liberali e schierare l’Italia all’opposizione di questa intesa, consegnando sostanzialmente alla signora Le Pen la leadership dello schieramento conservatore europeo.
Il problema non era e non è di facile soluzione, perché le conseguenze di una presa di distanze dalle decisioni annunciate in Europa significa condannare alla marginalità l’Italia in Europa nei prossimi anni, vedere ridimensionate le speranze di avere una posizione commissariale di qualche peso e rischiare anche sgradevoli sorprese all’atto dell’esame parlamentare del commissario designato dal governo italiano. D’altra parte, essere acquiescenti alle scelte compiute da altri avrebbe comportato un ulteriore appannamento dell’immagine dell’on. Meloni già messo in evidenza dai risultati non certo trionfali delle elezioni europee per Fratelli d’Italia.
È chiaro che la presidente del Consiglio non ha ancora deciso e non sa che cosa fare. Il suo discorso inutilmente lungo di ieri lo conferma: il leit motif è che le elezioni hanno messo in luce l’insoddisfazione degli elettori europei che chiedevano un cambiamento, mentre la scelta della continuità contraddice questo sentimento e questa esigenza. Ma l’insistenza su questo tema, senza spiegare quali conseguenze l’Italia intenda trarne, ha reso talmente deludente il discorso che la maggioranza ha fatto fatica ad applaudirla.
Naturalmente l'on. Meloni non ha potuto esimersi del tutto dallo spiegare quale sarà la posizione italiana. Alla fine del suo intervento ha dovuto dire qualcosa su questo punto. Ma anche in questa parte ha prevalso l’ambiguità. Da una parte è sembrata voler sfidare la maggioranza quasi preannunciando un voto contrario o un’astensione, ma dall’altra si è astenuta dall’annunciare che cosa esattamente farà l’Italia stasera nel Consiglio Europeo e a Strasburgo, quando si tratterà di votare il mandato per la von der Leyen. La prudenza era dettata dal fatto che se l’Italia si schiera apertamente contro l’intesa tra popolari, socialisti e liberali e questa prevale, le conseguenze saranno pesantissime, ma se non lo fa, essa rischia di scolorire troppo la sua posizione politica.
È evidente che oggi ci saranno vari esponenti dei popolari europei, a cominciare dall’on. Tajani, che consoleranno Meloni e le diranno che il suo voto a favore di Ursula von der Leyen, pur non segnando una formale svolta politica, sarebbe un riconoscimento del ruolo italiano. Si cercherà cioè di addolcire la pillola dell’irrilevanza. Ma i termini del problema sono chiari: se l'on. Meloni si allinea alla Le Pen, si caccia in un angolo. Se si inserisce nella maggioranza von der Leyen scopre il fianco destro. Può darsi che riesca a trovare una strada per nascondere i suoi dilemmi, ma per ora non ci sembra vi stia riuscendo.
27 giugno 2024
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