Non c’è dubbio che il ministro Giorgetti abbia parlato di aumenti delle imposte. E non si è trattato di dichiarazioni casuali. Ne ha parlato una prima volta in una intervista a Bloomberg; poi è tornato a parlarne in Parlamento. Prima ha detto che la Costituzione stabilisce che tutti debbono contribuire al bilancio dello Stato in rapporto alla loro capacità contributiva, poi ha rilanciato la tassa sugli extraprofitti delle grandi imprese, infine ha annunciato l’aumento delle imposte sulle case attraverso la revisione dei valori catastali.
Dire, come ha detto ieri la presidente del Consiglio, che il suo governo “le tasse le riduce”, dovrebbe portare, per serietà e coerenza, a un avviso di licenziamento del ministro dell’Economia. Invece non sarà così, perché sia Giorgetti sia l’on. Meloni dicono una cosa ma ne intendono un’altra, probabilmente in sostanziale accordo fra loro, ma non con la maggioranza di cui sono espressione.
Giorgetti sta cercando di spiegare ai suoi che l’Italia deve ridurre deficit e debito in rapporto al reddito nazionale. Per farlo, e per non smentire l’impegno solenne a non aumentare le imposte, bisogna che i ministeri taglino le uscite e che i parlamentari di maggioranza accettino di non proporre a getto continuo aumenti delle spese correnti o nuove esenzioni fiscali per questa o quella categoria.
Costringendo l’on. Meloni a fare la penosa dichiarazione televisiva di ieri, Giorgetti spera di farne un’alleata nella battaglia inevitabile per il contenimento della spesa. Probabilmente la presidente del Consiglio si rende conto che Giorgetti pone il problema delle tasse per ottenere una solidarietà a favore del contenimento delle spese. E nel riaffermare che il suo governo “le tasse le riduce” (ma è poi vero?) implora i ministri e i parlamentari di maggioranza ad accettare la necessaria disciplina in materia di spesa.
Per altro, è del tutto evidente che i conti non tornano ugualmente, perché servono diversi miliardi di euro per confermare vari sgravi fiscali introdotti lo scorso anno e questi miliardi non ci sono e non arriveranno dai tagli delle spese dei ministeri.
In genere queste controversie, che non sono nuove, venivano risolte appostando voci sostanzialmente false, scrivendo cioè improbabili costi inferiori alla realtà o gettiti superiore a ogni possibile realtà. Ora, però, in base alle nuove regole del Patto di stabilità, il bilancio dello Stato italiano è sotto l’attento esame delle istituzioni europee (e del Commissario Dombrovskis in particolare), e quindi la contabilità generosa non è più una soluzione possibile. Alla fine vi saranno degli aumenti di imposte, che verranno magari presentati come “contributi volontari” dei soggetti tassati, e vi saranno i tagli alle spese in conto capitale. Si continuerà, cioè, con la pratica di rinunciare non solo ai nuovi investimenti, ma anche alla manutenzione delle infrastrutture esistenti: si prepareranno quindi i nuovi blocchi alle ferrovie dovuti alla insufficiente manutenzione, o le voragini nelle strade o i crolli dei ponti quando il tempo peggiora.
Ciò detto, la domanda che rivolgiamo al ministro Giorgetti è se egli ritenga davvero sufficiente, per giustificare la sua permanenza al Mef, il fatto di riuscire (forse) a fare rispettare i vincoli europei tagliando le spese in conto capitale. Non crede, piuttosto, che un ministro dell’Economia che spieghi al Paese come stanno davvero le cose, potrebbe contribuire a salvare non l’anima (e l’incarico) ma il Paese?
Giorgio La Malfa
10 ottobre 2024
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