Forse ha davvero una marcia in più la Commissione von der Leyen che ieri ha presentato il suo piano per una nuova Unione europea della Salute. Ci vuole più coordinamento e maggiore cooperazione, ha detto la presidente dell’esecutivo europeo, servono “strutture più robuste” e “abbiamo bisogno di inserire la solidarietà nella legge”. Dunque un forte richiamo all’urgenza di un approccio comune alla gestione della crisi e un ammonimento a non trascurare il principio della solidarietà fra gli Stati. L’approvazione del piano ora dipende dai governi, ai quali si chiede di cedere parte delle competenze che, in materia sanitaria, sono esclusivamente nazionali. Infatti, sebbene non siano previste modifiche ai Trattati europei – tutto sarà “nel pieno rispetto della competenza degli Stati membri nel settore della salute”, si legge nel testo - il nuovo sistema comunitario disegna un coordinamento fin qui mai attuato. In base al piano, l’Ue avrebbe facoltà di dichiarare un’emergenza sanitaria in tutto il territorio e di dare il via immediato a meccanismi di risposta comune. Funzioni e poteri rafforzati sarebbero attribuiti al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA). La Commissione e l’ECDC potrebbero inoltre intervenire con raccomandazioni non vincolanti ai singoli Stati, per bocciare o incentivare iniziative prese per affrontare le crisi sul territorio nazionale.
"La pandemia che stiamo vivendo ci ha insegnato quanto è importante la salute per ciascuno di noi e che la situazione di uno Stato membro ricade anche sugli altri”, ha detto la commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides. E, quasi a conferma della determinazione della battaglia comune contro il virus, proprio ieri il collegio dei commissari ha dato l’ok alla farmaceutica Pfizer-BioNTech per l’acquisto iniziale di 200 milioni di dosi di vaccino anti-Covid per conto di tutti gli Stati membri dell'Ue, più un'opzione per ulteriori 100 milioni di dosi.
La Commissione europea sembra quindi aver ingranato la marcia più alta verso il traguardo della vittoria sul virus con iniziative che, dettate dall’emergenza, segnano anche passaggi importanti verso una possibile unione politica europea. Ma l’obiettivo è ancora lontano e soprattutto fortemente osteggiato da quegli Stati che piantano paletti sul percorso dei progetti comuni, mostrando di non avere a cuore l’ideale della realizzazione di una comunità sovranazionale di intenti e di valori.
Solo pochi giorni fa il premier ungherese Viktor Orbán ha inviato una lettera alle istituzioni europee per minacciare il No dell’Ungheria al quadro finanziario pluriennale, che comprende anche il Next generation Eu, se non verrà eliminato il legame tra il Recovery Fund e il rispetto dello stato di diritto. Non si è trattato certo di un fulmine a ciel sereno, il premier ungherese aveva già espresso la sua ferma opposizione su questo tema al tavolo del Consiglio europeo dello scorso luglio. Il veto ungherese è stato per ora superato dall’accordo politico, che riguarda anche il regolamento sullo Stato di diritto, fra Parlamento e Consiglio. Ieri lo stesso accordo ha ricevuto il consenso dell’europarlamento: “Siamo un'Unione basata su valori della libertà, della democrazia e dell'uguaglianza – ha esultato il presidente David Sassoli - se i governi non rispettano questi principi non dovrebbero avere accesso ai fondi dell'Ue". Ma l’approvazione del quadro finanziario richiede anche il via libera all’unanimità del Consiglio e perciò il braccio di ferro con Orbán, al quale darà man forte il premier polacco Mateusz Morawiecki, potrebbe essere ancora duro.
Sono molti, insomma, gli ostacoli che quella parte d’Europa impegnata nella ricerca di una difficile, maggiore integrazione politica continua ad incontrare sulla sua strada. Perfino di fronte ad una tragedia come quella della pandemia in corso.
Per questo la prospettiva di una Unione europea della salute può essere oggi considerata un successo, una tappa sulla linea di quell’ “Europa dei piccoli passi” prefigurata da Schuman nella sua celebre Dichiarazione: “L'Europa non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”.
Silvia Di Bartolomei
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