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La fase due dell'epidemia

L’impressione è che la Fase 2 dell’epidemia da coronavirus rischi di replicare gli errori commessi all’inizio della Fase 1.

Quattro mesi fa, quando dalla Cina giungevano finalmente le prime ammissioni che un virus aggressivo e devastante per le persone più fragili scorazzava libero per una provincia grande come l’Italia e iniziavano a filtrare attraverso le maglie della censura filmati fatti di nascosto con gli smartphone che mostravano persone che d’improvviso si accasciavano al suolo e venivano portate via, in Italia e nel resto del mondo (ad esclusione di Taiwan), il pericolo che si andava delineando da oriente fu largamente sottovalutato, fino alla pubblica irrisione, anche da parte di chi, per conoscenze tecniche, avrebbe dovuto avvisare e allertare soprattutto gli amministratori della cosa pubblica.

Poi l’epidemia si abbatté come un uragano soprattutto nelle regioni del nord Italia ma, nonostante che a questo punto fosse chiaro che era giunto in Europa e bussava alla porta di ciascuno Stato, ognuno andò per la sua strada, tra sottovalutazioni, ritardi, veloci e tardivi tentativi di correre ai ripari, chiusure delle attività economiche e messa in sostanziale carcerazione domiciliare i cittadini. L’arrivo dell’uragano, nel nostro come in altri paesi, portò alla luce quanto da parte di alcuni veniva da tempo sostenuto e cioè la totale inadeguatezza e impreparazione del nostro SSN ad affrontare una eventuale crisi sanitaria, sia per scarsità delle strutture e degli strumenti a disposizione, sia per l’incapacità dimostrata da un sistema appesantito da una inefficiente e incompetente burocratizzazione ad affrontare una situazione che richiedeva capacità di analisi di sistemi complessi e rapidità di decisione.

La chiusura del Paese, ha portato inevitabilmente al crollo verticale dell’economia, all’improvviso impoverimento di interi settori della popolazione impossibilitata a produrre reddito, ad uno stop della produzione di intere filiere, al rischio di una emergenza alimentare.

Allo stesso tempo, l’Europa, che avrebbe dovuto con rapidità e coesione affrontare l’emergenza impegnando risorse per evitare il prolungamento della crisi sanitaria continentale e l’aggravarsi della grave depressione economica, ha mostrato tutti i suoi limiti e la tendenza di ciascuno Stato a cercare di contenere i propri danni con scarso e svogliato spirito di collaborazione.

La riduzione della diffusione del contagio, anche grazie alla risposta esemplare dei cittadini nell’applicazione delle raccomandazioni contenitive, ha inevitabilmente prodotto una spinta forte alla riapertura delle attività produttive, la cui sopravvivenza stava diventando incompatibile con le misure restrittive adottate e alla ripresa dei rapporti sociali, la cui riduzione, derivata dall’isolamento forzato, stava creando ulteriori problemi, sia di carattere psicologico, sia di carattere sanitario per le altre patologie non infettive, ma parimenti o anche più gravi, trascurate durante l’emergenza.

Si è giunti, quindi, a stabilire l’inizio dell’allentamento delle misure di contenimento, della ripresa delle attività produttive e di una forma alleggerita di isolamento sociale. La Fase 2, appunto.

Ma i segnali non sembrano molto incoraggianti. In primo luogo, sul piano interno, si sono nuovamente acuite le polemiche tra governo centrale e amministrazioni regionali, ciascuna titolare di un potere decisionale spesso in contraddizione reciproca e desiderosa di andare incontro alle richieste di una popolazione le cui spinte appaiono più dettate dalla esasperazione che da una effettiva razionalità.

Sul piano europeo, quello che dovrebbe essere un processo condiviso e uniformemente applicato, sta scatenando una corsa ad una ripartenza che consenta di acquisire vantaggi rispetto agli altri Paesi, visti più come concorrenti che come membri di una comunità solidale. Ed è davvero deprimente osservare la corsa alla definizione di accordi bilaterali che minano alle fondamenta l’idea stessa di unità europea.

Per quanto riguarda l’Italia, non si riesce a capire se esista o no un piano per fare fronte ad una eventuale riaccensione di focolai patologici, se siano stati valutati percorsi assistenziali più efficaci ed efficienti di quanto osservato nella Fase 1, vista la facilità con cui ciò può avvenire se è bastata la avventata partecipazione ad un funerale in Molise per fare riesplodere un cluster epidemico in una regione che da giorni contava contagi zero.

Se in molti settori produttivi le misure di contenimento sono facilmente applicabili, penso ad esempio all’industria meccanica, tessile, al comparto delle costruzioni o a molti altri servizi, in altri, dalla ristorazione al turismo, ciò appare molto più problematico e le stesse misure proposte dal Governo appaiono di difficile, se non impossibile, attuazione.

E certamente non aiutano le intemerate intenzioni di alcuni Presidenti di Regione di rendere ancora più elastiche tali misure. Ancor meno rassicurano le feroci polemiche e i clamorosi ritardi di questi giorni per quanto riguarda l’approvvigionamento di semplici quanto efficaci sistemi di protezione individuali come le mascherine, polemiche e ritardi che stanno mostrando una preoccupante incapacità decisionale, di management dell’emergenza e di dare il via ad una seconda fase senza tutte le necessarie precauzioni.

Il rischio - ma la speranza è che non avvenga e che il virus, come sostengono alcuni e come a volte avviene, stia perdendo forza - è un riaccendersi dell’epidemia che costringerebbe ad una nuova e molto più devastante chiusura.

 

Prof. Cesare Greco

P.A. Cardiologia

La Sapienza - Roma


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