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Il futuro del reddito di cittadinanza

Che fine farà il “reddito di cittadinanza” (Rdc)? Quanto meno nel breve termine, ossia della prossima legge di bilancio? La Lega, che pur lo approvò nel 2019 in quanto era contemplato dal “contratto di governo” stipulato con il Movimento Cinque Stelle (M5S), è per l’abolizione e l’uso dei fondi per spese che ritiene prioritarie. Italia Viva, che pur ha proposto l’alleanza Partito Democratico (PD)-M5S che ha dato vita al Governo giallo-rosso, ha presentato la proposta di un referendum per abrogarne la legge istitutiva. Forza Italia è per abolirlo. Il PD preferisce non toccare l’argomento perché siamo alla vigilia di elezioni ed i rapporti in atto, e soprattutto in fieri, del partito di Letta con il M5S sono quanto mai delicati. Lo stesso M5, pur difendendo l’istituto, ammette che è necessario rivederlo.

Pare che sia rimasto a difenderlo solo il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che assicura che numerosi Paesi dell’Unione europea (Ue) seguiranno l’Italia su questa strada.

Nel frattempo sono giunti studi che mettono in dubbio se non il concetto il modus operandi del Rdc. La Caritas, che di povertà se ne intende, ha concluso che solo il 44% dei “poveri assoluti” beneficia del sussidio; il resto va ad altre categorie, spesso ad evasori totali impegnati nel “lavoro nero”.

L’Ocse ha delineato nel suo ultimo rapporto sull’Italia una proposta articolata di riordino che tiene conto di istituti esistenti e di altri previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

In sintesi, gli interventi suggeriti dall’Ocse sono i seguenti: 1) la revisione della scala di equivalenza del Rdc, ovvero dei coefficienti che definiscono l’ammontare del sussidio al variare della numerosità familiare, attualmente particolarmente bassi e penalizzanti per le famiglie con più di tre componenti; 2) l’istituzione di un assegno unico per le famiglie con figli caratterizzato da importi più alti rispetto ai programmi esistenti; 3) l’introduzione di un “in-work benefit” con importi crescenti al crescere del numero di figli così da arginare il fenomeno dei “lavoratori poveri” (per i quali la numerosità familiare è una delle principali cause di povertà – come indicato anche dalla Commissione europea).

L’Ocse suggerisce inoltre di migliorare il targeting del Rdc mediante due ulteriori interventi: 1) abbassare da 10 a 5 anni il requisito sulla residenza in Italia (quello attuale di 10 anni è il più restrittivo tra tutti paesi Ue, insieme a quello della Danimarca). Ciò consentirebbe a molti immigrati residenti regolarmente in Italia (ovvero una categoria con un tasso di povertà superiore alla media) di ricevere aiuto e poter partecipare ai programmi di riqualificazione professionale e di inserimento lavorativo rivolti ai beneficiari di Rdc; 2) abolire la soglia di eleggibilità Isee di 9.360 euro che, insieme agli altri requisiti patrimoniali particolarmente alti rispetto agli altri Paesi, finisce per escludere dal Rdc molti poveri di reddito ma che possiedono un piccolo patrimonio spesso non facilmente liquidabile.

Anche l’Ocse sottolinea che il Rdc non fornisce i giusti incentivi a cercare attivamente lavoro. Infatti, il valore dell’Rdc si riduce proporzionalmente al crescere del reddito da lavoro, producendo aliquote marginali effettive pari al 100 per cento per livelli di reddito da lavoro fino a circa 12 mila euro annui (per questa tipologia familiare). In altri termini, tutto il reddito da lavoro guadagnato in questo intervallo è compensato da una riduzione di pari ammontare dei trasferimenti ricevuti, lasciando dunque il reddito disponibile della famiglia invariato rispetto al caso di completa assenza di lavoro. È quindi chiaro che in questo intervallo di reddito gli incentivi al lavoro siano modesti se non totalmente assenti.

L’ammontare massimo del Rdc è vicino – se non addirittura superiore – alla retribuzione media che potrebbero ottenere i beneficiari della misura nel caso trovassero occupazione in alcune aree del paese. Ad esempio, secondo i dati Inps il 45 per cento degli occupati nel settore privato nel Sud Italia ha un reddito netto da lavoro inferiore al valore del Rdc. Allo stesso modo, secondo dati Cnel, i minimi retributivi contrattuali in alcuni settori a basse competenze (ovvero dove i percettori del Rdc potrebbero trovare lavoro con maggiore probabilità, come ad esempio agricoltura e lavoro domestico) sono in certi casi addirittura inferiori all’importo massimo del Rdc.

Quindi, ce n'è abbastanza per pensare ad una riforma seria da collegare alla prossima legge di bilancio. Da un lato, però, il Ministro del Lavoro Andrea Orlando è troppo assorbito da altri temi (ammortizzatori sociali, pensioni) per dedicarsi ad un riforma del Rdc (che potrebbe essere causa di frizioni serie con il M5S); dall’altro, una riforma, per essere effettivamente utile, deve essere collegata con un riassetto delle politiche attive del lavoro.

Attenzione, se la riforma non avviene in parallelo con la le legge di bilancio, dovrà essere messa in campo qualche mese dopo, in quanto parte degli impegni presi con l’Ue e del Pnrr.


Bagehot


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