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Il M5S tra contorsioni e contraddizioni

E’ appena finito il vertice del M5S all’Hotel Forum di Roma e dalle prime notizie sembra che Giuseppe Conte - che non risulta nemmeno iscritto, come ebbe a dichiarare lui stesso - abbia accettato di ricoprire un ruolo di primo piano per arrestare il declino del Movimento.

E così il Comitato di garanzia formato da Crimi, Lombardi e Cancellieri dovrà proporre le relative modifiche statutarie per disegnare il nuovo ruolo ad hoc per Giuseppe Conte.

Si celebra così l’ennesima disinvolta contraddizione dei Cinque Stelle che solo una decina di giorni or sono avevano deciso una “governance” del Movimento non più affidata ad un “capo politico” ma ad un “direttorio” di cinque persone della durata di tre anni, da cui scegliere a rotazione un coordinatore che svolgesse insieme anche le funzioni del rappresentante legale. Tale opzione aveva raccolto sulla piattaforma Rousseau circa l’80% dei votanti che in totale non sono arrivati nemmeno alle 12.000 unità.

Non è la prima, né riteniamo sarà l’ultima contraddizione di un Movimento che sulla base dei ferrei principi non negoziabili, ma interpretabili ad usum delphini, ha caratterizzato tutta la propria vicenda politica sin dall’esordio alle elezioni politiche del 2003.

E così basta riandare con la memoria ad alcune di queste pietre miliari della “diversità grillina” a partire dalla reiterata narrazione degli esordi: dall’uno conta uno con alcuni che contano sicuramente di più, dalle trasmissioni in streaming che dovevano rendere pubbliche tutte le riunioni e le discussioni interne tradotte oggi con il tentativo di depistare il summit degli “happy few” all’Hotel Summit di Roma, per non parlare del limite dei due mandati per ogni eletto cui è subentrato il “mandato zero” che non andava calcolato.

Ma anche sul versante “giustizialismo” le contorsioni non sono state da poco, visto che all’inizio bastava un avviso di garanzia per obbligare ogni eletto M5S a rassegnare le dimissioni mentre oggi non basta nemmeno una condanna in primo grado, visto che la sindaca di Torino continua ad esercitare le proprie funzioni.

Sul piano politico, poi, le contraddizioni e le contorsioni sono state la cifra costante del M5S sia a livello nazionale che europeo.

E così quel M5S che non intendeva allearsi con nessun altro partito, all’indomani delle elezioni del 2018 ha firmato un contratto (non un programma politico) con quella Lega di Salvini che in campagna elettorale era stata nel mirino degli attacchi grillini (famoso in tal senso un video di Alessandro Di Battista, l’ex frontman del Movimento che tuttora indossa con estremo piacere le improbabili vesti di un redivivo Torquemada).

Solo un anno dopo il Movimento ha scelto di fare un nuovo Governo con quel PD che qualche giorno prima era indicato come “il Partito di Bibbiano”, mentre Grillo sosteneva l’avvio del Governo giallorosso con quel partito che prima definiva “PD meno Elle” per classificarlo uguale al partito di Berlusconi, all’epoca PDL.

Non sappiamo con quale spirito oggi i Ministri M5S siedano a Palazzo Chigi accanto ai Ministri di Forza Italia, espressione del partito di quello che Grillo definiva “pisco-nano”.

A livello europeo, lasciando da parte le reiterate accuse negli anni scorsi all’Euro, alla UE e allo stesso Draghi - definito “bankster” da un sottosegretario “in costante rinnovata ferma governativa” nelle ultime tre compagini – il M5S ha aderito prima al Gruppo di Nigel Farage che ha guidato la Brexit, per poi tentare di entrare nell’ALDE, il gruppo dei liberaldemocratici dalle ferme convinzioni europeistiche, mentre da ultimo si fanno sempre più chiari i tentativi di entrare a far parte del Gruppo Socialisti e Democratici che ha sostituito al Parlamento UE il vecchio gruppo del PSE.

Non possiamo certamente dimenticare che il 5 febbraio 2019 Di Maio, allora bis-ministro al Lavoro ed allo sviluppo economico nonché Vice Presidente del Consiglio, insieme a Di Battista e qualche altro esponente M5S al Parlamento incontravano la componente più dura dei famosi “gilet gialli” che ogni sabato mettevano a “ferro e fuoco” le vie di Parigi.

Le cronache dell’epoca riportavano: “Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi. Ripeto. Il vento del cambiamento ha valicato le Alpi». Così Luigi Di Maio ha celebrato su Facebook l’incontro che ha avuto martedì (5 febbraio 2019) a Montargis, un centinaio di chilometri a sud di Parigi, con alcuni esponenti del movimento di protesta “gilet gialli” con cui il Movimento 5 Stelle spera di allearsi dopo le elezioni europee. Accompagnato da Alessandro Di Battista, Di Maio ha incontrato Christof Chalencon, uno dei più estremisti tra i leader del movimento, uno che nelle scorse settimane aveva evocato apertamente un colpo di stato militare in Francia.”

E’ lo stesso Di Maio che in una intervista di qualche giorno fa a Repubblica ha affermato che ora il M5S è “un partito liberale e democratico” al pari di una qualsiasi Forza Italia o En Marche di Macron, contro il quale Chalencon evocava il colpo di stato militare.

Non destano altresì più meraviglia le quotidiane dichiarazioni degli esponenti M5S che narrano “le magnifiche sorti e progressive” dei risultati del Movimento di cui conserviamo nella memoria la foto degli esultanti Ministri che dal balcone di Palazzo Chigi inneggiavano alla fine della povertà con l’approvazione del reddito di cittadinanza.

Ma non destano altrettanta meraviglia quanti, autoproclamatisi “portavoce dei cittadini”, abbiano scelto di mettersi all’opposizione interna come ad esempio l’on. Barbara Lezzi, già Ministro del Sud, o altri ex sottosegretari non riconfermati nei loro incarichi.

Sull’ultimo numero de L’Espresso si riportano le dichiarazioni di Antonio Di Pietro che aveva condiviso con Gianroberto Casaleggio una certa comunicazione che era valsa a Italia dei Valori di raggiungere poco meno del 10% dei consensi alle elezioni europee.

Quando si è costretti – afferma in sintesi Di Pietro – a creare dalla sera alla mattina un gruppo dirigente e casomai affidargli importanti responsabilità di Governo, inizia la fase discendente di qualunque esperienza populista”.

Così non può stupire che in meno di tre anni il M5S sia passato dai fasti del 32% dei voti raccolti alle elezioni politiche del 2018 ad un 13-14% degli ultimi sondaggi, percentuali destinate a subire altri ridimensionamenti dopo l’uscita/espulsione di molti parlamentari.

E’ chiaro che la decisione di affidare la guida di quello che resta del Movimento a Conte segnerà un’altra mutazione perché è chiaro che Conte non potrà incarnare l’anima movimentista.

Ma che posizione politica prenderà il M5S di Giuseppe Conte? Porterà a una stabile alleanza con il PD oppure Conte sarà tentato di usare il nuovo ruolo per riaprirsi in qualche modo la strada di Palazzo Chigi e come questo si rifletterà sulla stabilità del Governo Draghi? Interrogativi che avranno a breve una risposta.


Maurizio Troiani

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