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Il negoziato europeo alla stretta finale

C’è da crederci che, come riportavano le cronache di ieri, il premier Conte abbia accolto “come una doccia fredda” l’ipotesi prospettata da Angela Merkel di un’eventuale riduzione del Recovery Fund da 750 a 500 miliardi, da presentare al prossimo Consiglio Ue del 17 e 18 luglio. Perché mentre la Cancelliera delineava questa ipotesi nell’aula del Parlamento europeo, nelle stesse ore Conte, a colloquio a Madrid con Sánchez, era impegnato a consolidare l’accordo tra i Paesi mediterranei a non cedere alle insidie dei Paesi nordici, determinati a sfoltire la cifra dei finanziamenti, soprattutto quelli a fondo perduto, e a introdurre controlli stringenti sull’impiego delle risorse e sul bilancio degli Stati che ne beneficeranno, l’Italia in testa. Dunque, mentre la Cancelliera a Bruxelles lasciava intendere che conviene smussare l’aggressività dei “Paesi frugali”, piegare con ponderazione la loro veemenza, insomma che bisogna mostrarsi disponibili alla riduzione dei contestati 750 miliardi, il nostro presidente del Consiglio a Madrid ribadiva che mettere in discussione quella cifra, e nello specifico i 172 miliardi destinati all’Italia, significherebbe bloccare tutto il negoziato sul Recovery Fund.

Il tour europeo di Conte procede per tappe, Lisbona, Madrid, oggi l’Aja, poi l’incontro bilaterale con Merkel e forse con Macron, con l’obiettivo di riportare a Roma la certezza che i 750 miliardi previsti dal piano della Commissione von der Leyen saranno difesi quanto più sarà possibile. Il premier sa bene che non si potrà evitare un taglio complessivo di almeno 250 miliardi, che per l’Italia significherebbe accontentarsi di sussidi e prestiti per 140 -150 miliardi. Tuttavia non può permettere che il fronte dei sovranisti italiani lo accusi di aver piegato il capo alla volontà dei “falchi” del nord e perciò avanza nei colloqui di questi giorni mantenendo l’asticella ferma su quota 750. Una determinazione apprezzabile che però potrebbe avere un prezzo troppo alto. Cronisti e osservatori attenti agli umori delle capitali europee affermano, infatti, che l’intransigenza italiana nella trattativa sul Recovery Fund finirebbe per danneggiare noi e l’intera Europa mediterranea, perché i Paesi frugali hanno ormai pronta la lista delle richieste in cambio della rinuncia, peraltro solo parziale, ad operare tagli ai fondi destinati al ristoro degli Stati più danneggiati dalla crisi. Alberto D’Argenio, nella sua newsletter di approfondimento “Perché Bruxelles?” per Repubblica, scrive che i Paesi del nord premeranno perché siano i governi nazionali, e non la Commissione, a dare l’ok definitivo alla somministrazione dei fondi e lo faranno, eventualmente, solo dopo aver controllato che i piani nazionali per spenderli siano credibili. Si può ben immaginare quanto più rigoroso potrà essere l’esame dei governi - peserà come piombo il giudizio dei Paesi nordici - rispetto a quello della Commissione notoriamente più docile con i Paesi mediterranei. “In questo modo – afferma D’Argenio – Italia, Spagna, Portogallo e Grecia per incassare i soldi rischierebbero di andare incontro alle richieste di austerità delle capitali settentrionali”. E non è tutto: i Paesi del nord chiederanno inoltre di approvare, non in via eccezionale ma permanente, il taglio del Bilancio dell’Unione europea, con vistosi sconti sulle quote a loro carico, oltre alla riduzione dei fondi per i capitoli Agricoltura e Coesione, questi ultimi indispensabili per i programmi di investimento delle nostre Regioni. Insomma, si tratterebbe di un insieme di penalità che sul lungo termine, osserva D’Argenio, “potrebbe essere ben più doloroso della perdita di una manciata di miliardi una tantum”. Infine, le riforme: l’ultima doccia fredda Conte potrebbe riceverla proprio questa sera in Olanda, dove dovrà ascoltare le condizioni dettate dal leader dei frugali, Mark Rutte, che legherà la possibilità per gli Stati di ricevere le risorse del Recovery Fund all’attuazione delle riforme. E non basterà a Conte presentare il testo “salvo intese” sulla Semplificazione, perché all’Italia il premier olandese oggi parlerà soprattutto di pensioni e di lavoro, ripresentando al nostro Paese dolorosi conti lasciati in sospeso all’era pre-Covid.

Silvia Di Bartolomei

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