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Il passo della lumaca

Nei regimi parlamentari i governi possono avere un senso anche quando fanno poco. È difficile spiegarlo all’opinione pubblica ma è così. Anzi alcuni governi possono nascere proprio per fare poco. È il caso del governo Conte 2. L’altro, il Conte 1, doveva agire, anche se con cabine di regia totalmente separate, in cui ogni mano era autorizzata a fare ciò che l’altra non voleva: così sono nati il reddito di cittadinanza e quota 100. Il Conte bis, invece, aveva un compito diverso: vivere. Vivere e così evitare la probabile vittoria del centrodestra a guida Salvini. Vivere e così consentire a questo Parlamento di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.

Poi è arrivato il coronavirus. Le prime due fasi della gestione dell’epidemia non sono risultate incompatibili con la missione del governo e per questo, tutto sommato, hanno ottenuto un discreto consenso, anche a livello internazionale. Nella prima, quella sanitaria, obiettivo prioritario è stata comunque la tutela dei cittadini minacciati dal virus. Nella seconda, quella del ristoro economico di una società piegata dal lockdown, occorreva che oltre all’esecutivo sopravvivessero in qualche modo le imprese, le categorie e le famiglie. Come si sa, nel perseguimento di questo obiettivo è risultato decisivo il ribaltamento avvenuto nelle politiche europee, tradizionalmente improntate all’austerità, in favore di un’impostazione economica espansiva, l’unica possibile dal momento che dalla sopravvivenza delle imprese italiane dipendeva anche quella delle imprese degli altri Paesi e in particolare di quelle tedesche. Così, da un lato la Bce ha deciso di finanziare ad oltranza il nostro debito pubblico, dall’altro sono stati previsti strumenti, keynesiani verrebbe da dire, come il Sure, i fondi Bei, il Mes ed il Recovery Fund. Tra la fine di luglio e i primi di agosto vedremo quante risorse aggiuntive saranno poste a disposizione dell’Italia e quando.

Un governo nato solo per vivere sarà, dunque, capace di operare? Come si vede dalle tensioni nate da un mese a questa parte tra i partiti di maggioranza e anche all’interno di essi, è difficile dare una risposta.

L’incontro di ieri tra il presidente del Consiglio e Nicola Zingaretti, cioè il leader del partito che ha fin qui dato l’appoggio meno nervoso al governo, aveva proprio tale questione all’ordine del giorno. La situazione politico-parlamentare non consente, prima dell’autunno, di assumere decisioni risolutive circa il programma di utilizzazione delle risorse europee. Ma perdere le elezioni regionali di settembre in Puglia, Marche e Liguria trasformerebbe una tattica di attesa in un gorgo letale per il governo.

Di qui, a margine dell’incontro di ieri, l’invito del presidente del Consiglio alle forze di maggioranza a trovare le convergenze possibili nelle realtà locali chiamate al voto. Di qui, su richiesta del Pd, la calendarizzazione per fine luglio alla Camera della riforma elettorale in senso proporzionale, come paracadute in caso di vittoria del centro-destra nelle elezioni regionali.

Questa maggioranza non è in condizione di correre. Del resto non era nata per questo. Vedremo se sarà capace di muovere almeno qualche passo.

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