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Inquinamento, la pandemia invisibile

Lettera da Bruxelles


Sottotraccia, inavvertita, arriva da Bruxelles una “letterina” avvelenata: in chiusura 2020, l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha pubblicato il suo rapporto annuale comunicando che nel 2019 gli italiani che sono morti per cause direttamente dovute all’inquinamento sono stati 65.000. Più precisamente, 49.900 vittime del particolato fine Pm2,5; 10.640 del biossido di carbonio; 3.170 per ozono 03. In tutta l’Europa, le vittime sono state oltre 360.000, e l’Italia si è classificata al secondo posto dietro la Germania per numero di morti. L’Agenzia stabilisce anche che oltre la metà di questi decessi, il 58%, si sarebbero potuti evitare se gli Stati membri avessero adottato misure efficaci per rispettare i parametri stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per le polveri sottili. In Italia si sarebbero salvate 32.000 persone, il 65% delle vittime.


Un confronto con il Covid è fuorviante – ma anche inevitabile: AEA anziché EMA, linee guida dell’OMS in entrambi i casi, le cifre del lutto assai vicine (nel 2020 i morti ufficiali per Covid in Italia sono stati circa 75.000, con alcune controversie sulla metodologia di calcolo), il problema in entrambi i casi è transfrontaliero e la categoria più colpita è sempre quella degli anziani.

Tuttavia, la “pandemia” da inquinamento non ha intasato terapie intensive, non ha creato allarme nella popolazione, e tantomeno provocato blocchi ad alcune attività produttive e all’abuso di riscaldamento e aria condizionata, e oltre rare giornate senza automobili non ci si è spinti. Qualche voce maliziosa dirà che in assenza di vaccini e relativi contratti con Big Pharma, le morti da inquinamento non sono rese nella loro vera drammaticità.

Sta di fatto che la politica non ne parla, nessuno registra la drammaticità di oltre 350.000 decessi che nella sola Europa sono dovuti all’inquinamento e che in gran parte si potrebbero scongiurare rispettando le direttive ambientali della stessa UE e le linee guida dell’OMS.

Ma le morti da inquinamento sono date per scontate, come inevitabili perdite collaterali dello sviluppo industriale e delle città dell’Europa. Mentre, giustamente, non si considerano le vittime del Covid come inevitabili perdite collaterali della mobilità globale e dei processi di socializzazione e di interazione personale.


La gestione della pandemia può viceversa offrire alcune lezioni: l’opinione pubblica, almeno in maggioranza, se debitamente e intelligentemente informata, si dimostra disponibile a modificare in buona parte comportamenti privati e collettivi; l’organizzazione del mondo del lavoro e della mobilità può reagire positivamente per contrastare un veleno in circolo; la scienza merita di essere ascoltata dalle istituzioni e dai cittadini. Eppure il rischio è che si perpetui quanto accaduto finora: ci sono morti di seria A e di serie B, per le istituzioni come per i media.


Il paradosso è che i comportamenti individuali, le scelte di una famiglia o di un’azienda o di un’amministrazione pubblica, possono incidere molto di più nella mitigazione dell’inquinamento, considerato unanimemente un nemico della società, che nella lotta a un virus. Ma una pandemia avrà sempre un vantaggio rispetto a un problema strutturale come l’inquinamento: presenta il sinistro fascino dell’evento millenarista e del grande complotto. Ma questo, non deve essere l’atteggiamento intellettuale e operativo di un’Europa che si voglia laica e razionale.


Niccolò Rinaldi

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