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L'inerzia diplomatica dell'Unione europea

Lettera da Bruxelles


Siamo pronti a discutere la perdita della Crimea – Zelensky dixit. La NATO: non riconosceremo mai una Crimea russa. Macron: Non sta alla NATO decidere. Scholz: silenzio. Governo italiano: una proposta di pace che sulla Crimea prende tempo. Non è ancora stagione di negoziati e la Crimea resta comunque saldamente sotto controllo russo e in ogni caso è solo uno dei numerosi aspetti di un possibile compromesso. Ma la cacofonia sul destino della Crimea è solo uno dei fattori rivelatori di quanto l’Unione europea abbia finora rinunciato a un ruolo diplomatico propositivo, esitando a lanciare una piattaforma di dialogo strutturale. Eppure, il suo prendere parte al conflitto al fianco dell’Ucraina e l’appartenenza di tanti paesi UE alla NATO, non sarebbero di per sé condizioni incompatibili con il farsi portavoce di un processo negoziale e con la declinazione di alcune condizioni preliminari.

Altri, come la Turchia, si sono fatti avanti, ci provano. L’Unione Europea no, finora non si è sentita abbastanza sicura di una propria credibilità e un’intesa interna. In un tappeto di guerra si aprono mille pieghe e c’è posto per la buona volontà di tutti. Seppure parte in causa e decisamente schierata, un tentativo si sarebbe potuto fare, cominciando da questioni settoriali – sbloccare il grano, l’evacuazione di Mariupol, corridoi umanitari, ma anche, ed è solo un esempio, prendere un’iniziativa per garantire l’afflusso alla Russia di certi medicinali occidentali che seppure non colpiti dall’embargo sono ormai introvabili a Mosca (come quelli per bambini sieropositivi). L’Unione Europea qualche carta da giocare ce l’avrebbe. Ha maturato la cultura del compromesso nelle guerre jugoslave o nella stessa questione irlandese, è alleata organica degli Stati Uniti e certamente dell’Ucraina, ma nella sua maggioranza non ha ancora sviluppato il rigetto del mondo russo al quale anzi è in buona parte molto legata sotto vari profili.


A turno ogni capo di Stato o di governo europeo ha curato un suo canale bilaterale con Putin, ponendosi come interlocutore se non addirittura come imbonitore. La stessa proposta italiana per una via d’uscita in quattro tappe è stata presentata all’ONU, non a Bruxelles, da dove non è mai partita un’iniziativa, nessuno ha mai provato a delineare dei “parametri europei” sulla composizione del conflitto – cessate il fuoco, sanzioni, modifiche dei confini, ruolo dell’ONU, ruolo della Corte Penale Internazionale, garanzie di sicurezza per Ucraina e se si vuole anche per la Russia, riabilitazione economica e delle infrastrutture e molto altro. Lasciando l’iniziativa solo all’impulso delle parti in causa si va poco lontano, bloccate come sono da calcoli contingenti sulle rispettive possibilità militari e dalla diffidenza. La Mosca di oggi, la Mosca che si trova infangata nelle sue velleità perdenti – probabilmente accoglierebbe di buon grado un tentativo europeo. Certamente lo accoglierebbero molti cittadini dell’UE, vedendolo come un complemento al sostegno all’Ucraina, anche allo stesso invio delle armi, trattandosi sempre di strumenti per mettere fine alla guerra e creare le condizioni di una pace quanto più giusta possibile.


L’Unione Europea ha dimostrato anche nella guerra ucraina di non essere pronta a dotarsi di una difesa comune. Non siamo abbastanza uniti, e non siamo “hard power”. Ci consideriamo campioni nel soft-power, nei soft-skills. Ma anche in questo, pare mancarci sufficiente unità, ognuno dice la sua o tace, come sulla Crimea, e la somma è zero.


Niccolò Rinaldi



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