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La guerra sta compattando l’Europa?

Lettera da Bruxelles


Nel dicembre del 2019, Angela Merkel si contrappose alle sanzioni americane nei confronti della costruzione di Nord Stream. Poche settimane prima, Macron aveva definito la NATO in uno stato di “morte cerebrale”. Nel frattempo, il principale leader del centro-destra italiano si era esibito davanti al Cremlino con una maglietta raffigurante Putin; l’avrebbe indossata anche a Strasburgo, contro gli “eurocretini che vogliono fare la guerra alla Russia”.


Oggi l’Amministrazione americana, spesso sottovalutata da alcuni europei, registra che il Nord Stream è diventato una beffa per chi ci ha messo soldi, trasformandosi in un investimento sterile, che resterà tale finché regnerà Putin; che la NATO è più forte che mai, tanto che paesi di consolidata neutralità considerano di aderirvi; che chi indossava i gadget pro-Putin oggi vota l’invio di armi contro la Russia. Di questi esempi, ne potremmo fare molti altri.


Come avevamo scritto nella Lettera da Bruxelles del 18 febbraio, Biden avrebbe imprigionato Putin nelle sue ataviche tentazioni, in una posizione impossibile, che è diventata quella di un paria trascinato in un conflitto imprevedibile e logorante. Così la partita a poker prosegue: il giocatore russo è alle corde, vince e perde al tempo stesso e alza la posta; ma esauriti beni di famiglia e reputazione non gli rimane altro che aggrapparsi a gesti inconsulti - l’uso indiscriminato della forza contro i civili e forse anche peggio.


Conquisterà buona parte dell’Ucraina, ma non tutta, e ne avrà sempre una avanti che rivendicherà e otterrà di esserne la legittima rappresentante. Putin la guerra la perderà per il costo delle bare dei suoi soldati, delle sanzioni, e soprattutto del rifiuto ormai granitico dell’appartenenza a una qualsiasi sfera russa da parte di un’Ucraina.


Invece l’America ha rioccupato il suo posto e oggi l’Europa ne ha più bisogno che mai. Questo è infatti uno degli aspetti della guerra: la ridefinizione dei rapporti transatlantici, con una Bruxelles co-protagonista e non solo come sede della NATO.

Perché anche l’UE corre, e in pochi giorni ha fatto quattro cose mai viste. 1) Ha creato un’inedita compattezza tra i ventisette, riassorbendo anche il solco con il gruppo di Vysehrad. 2) Ha adottato sanzioni di un livello assai superiore rispetto a quelle inefficaci inflitte finora a numerosi paesi. 3) Ha deciso per la prima volta un sostegno militare diretto a un paese terzo. 4) Ha concesso in un baleno lo status di candidato all’Ucraina, con le basi per un’ipotetica adesione veloce. Un’accelerazione dovuta a Putin, a rovescio, suo malgrado, quasi un padre dell’Europa unita.


Tuttavia l’UE non ha ancora vinto niente. Superata l’emotività del momento, l’adesione dell’Ucraina, seppure con mille clausole contingenti e deroghe (già presenti nei processi di adesione di Romania e Bulgaria), potrebbe facilmente diventare ostaggio di una cultura del “realismo” e della prudenza, senza contare che l’appartenenza all’UE non offrirebbe nessun significativo aiuto alla sua integrità territoriale - come Cipro insegna. Il costo interno delle sanzioni non sarà eguale per tutti, e una sorta di “recovery” finanziario ed energetico, per chi ne pagherà di più il prezzo, sarebbe opportuno; in sua assenza alla lunga si potrebbe spezzare l’attuale fronte unitario. A un paventato scatenamento di una guerra oltre l’Ucraina, magari perfino nucleare, l’Unione Europea potrebbe rispondere con grande coesione, ma anche disgregandosi - una vera difesa comune non è mai stata così vicina, ma non è una realtà.

Sono settimane strane e incredibili, con Orban che apre le frontiere o la Svizzera che adotta le stesse misure europee. Ogni giorno c’è un maggiore capitale politico, e morale, che Bruxelles non deve disperdere. È soprattutto un capitale plasmato da un’opinione pubblica unanime come non mai, finalmente consapevole di quale fortuna sia appartenere all’UE, e solidale con gli ucraini – al punto che già al primo giorno di “iscrizioni”, l’ambasciata di Kiev a Bruxelles ha registrato quaranta volontari per la brigata internazionale, e non cittadini europei di discendenza ucraina, ma belgi, francesi, italiani o marocchini. Un capitale alimentato anche da questa “lux ex oriente”, dalla riscoperta di una geografia nostra ma a lungo ignorata, e dall’energia di un popolo in armi che non si arrende e che ispira l’Europa con la tempra dei versi di Shakespeare: “Die to live, have patience and endure”.


Niccolò Rinaldi


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