In un recentissimo articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Cell e intitolato “Tracking changes in SARS-CoV-2 Spike: evidence that D614G increases infectivity of the COVID-19 virus”, viene riportata una mutazione intervenuta sulla proteina spike del virus, la proteina responsabile del suo interfacciamento con le cellule dell’organismo infettato. Tale mutazione sembrerebbe rendere il virus molto più infettante ma probabilmente meno letale, dal momento che la carica virale riguarderebbe soprattutto le vie respiratorie alte. La notizia, che comunque necessita di ulteriori conferme, contiene un’informazione negativa e un’informazione positiva: la prima riguarda la maggiore capacità del virus di infettare e dare una maggiore carica virale, la seconda una sua minore pericolosità oltre ad una forte sensibilità agli anticorpi presenti nei soggetti guariti. Nel nostro Paese, questa mutazione sarebbe iniziata già dai primi di marzo e avrebbe ormai interamente sostituito la forma precedente. Attualmente, in quasi tutti i continenti rappresenta la forma più diffusa. Si tratterebbe, dunque, di una mutazione casuale e che deve la sua fortuna proprio a queste due caratteristiche. Come dichiarato alla rivista GEN, Genetic Engineering and Biotechnology News, dalla dottoressa Erica Ollmann Saphire, coautrice della ricerca,“il virus non vuole essere più letale. Vuole essere più trasmissibile. Un virus vuole che tu lo aiuti a distribuire copie di sé. Vuole che tu vada al lavoro, a scuola e a raduni sociali e lo trasmetta a nuovi ospiti. In realtà, un virus è inanimato e non vuole alcunché. Ma un virus che sopravvive è uno che si dissemina ulteriormente e con maggiore efficienza. Un virus che uccide il proprio ospite rapidamente non va tanto lontano, basti pensare al caso di Ebola. Un virus che permette al proprio ospite di andare al lavoro, si disseminerà meglio, come un comune raffreddore”. Segue, in sostanza il principio di “telenomia” teorizzato da Jacques Monod ne Il Caso e la Necessità.
Se tutto ciò sarà confermato da ulteriori studi, prepariamoci a convivere con il Covid19 ancora a lungo, fino a quando non saranno messi appunto vaccini che non saranno uno solo e definitivo, ma che, come per l’influenza, andranno modificati periodicamente per inseguire le minime ma significative mutazioni. Ma se il virus ha acquistato da una parte una maggiore capacità infettante, dall’altra ha perso in forza letale e l’utilizzo di sistemi di protezione individuali dovrà continuare, soprattutto nei luoghi chiusi, ancora per molto, pur non imponendo più quelle restrizioni che hanno portato alla chiusura di intere filiere produttive e al collasso delle economie di molti Paesi, pur mantenendo alta, anzi altissima, la guardia su quei casi provenienti dall’estero e che possano rappresentare vettori di forme più gravi di infezione.
In questo senso appare anche meno cogente il ricorso alla legislazione di emergenza con la riduzione, che di conseguenza ne deriva, delle prerogative proprie del Parlamento e degli altri organi democratici, pur continuando la stretta osservazione dell’evoluzione della malattia e soprattutto dei suoi effetti clinici che, nel nostro Paese, ma in generale nel continente europeo, sembrano essere mutati in senso positivo.
Prof. Cesare Greco
P.A. Cardiologia
La Sapienza - Roma
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