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La realizzazione del Cloud è una priorità

Nel giugno 2019 ho pubblicato un libro (Potere dell’algoritmo e resistenza dei mercati in Italia – La sovranità perduta sui servizi) in cui esaminavo la capacità delle imprese e delle autorità di vigilanza dei settori regolati di reagire all’evoluzione digitale dei servizi realizzati mediante un contributo determinante dell’intelligenza artificiale (IA). Ho concluso che la resilienza del paese era minima e ho quindi proposto la creazione di un’infrastruttura nazionale indipendente, non verticalmente integrata, costituita da imprese sia private sia partecipate dallo Stato, in grado di condividere infrastrutture fisiche (datacenter) e tecnologiche (cloud) da mettere a disposizione di chiunque operi in Italia, a condizioni eque e non discriminatorie, sulla base di una prassi consolidata nella regolazione europea e nazionale. Infrastruttura nazionale cloud, perché il carburante dell’IA sono i dati, che sono conservati nel cloud, gestito dai datacenter. Avere questi ultimi sul territorio europeo garantisce di sottoporre i dati che vi sono custoditi alle norme dell’Unione europea e quindi di tutelare il welfare che corrisponde alla nostra tradizione culturale e giuridica.

Una simile infrastruttura consentirebbe di creare in breve tempo un soggetto con un valore di mercato non diverso ad esempio da SNAM o Terna (sarebbe un’infrastruttura strategica nazionale), la cui remunerazione potrebbe essere analoga a quella di una utility, e sarebbe volano di uno sviluppo di tecnologie e servizi, facilmente misurabile a posteriori.

In questi ultimi mesi Germania e Francia hanno avviato una piattaforma cloud europea che giovedì 15 ottobre ha ottenuto il consenso di tutti gli altri Stati membri. La dichiarazione congiunta in Consiglio UE (tlc e Digitale) ha sancito la “creazione di una rete che fornisca lo standard per le modalità di archiviazione, utilizzo e condivisione dei dati all’interno dell’Unione europea”. L’obiettivo è costituire una European Cloud Federation: una federazione dei cloud nazionali. Evidentemente, quando si scende su un piano tecnico, le parole fanno meno paura. Sul cloud europeo gli Stati si sono anche impegnati ad approvare un regolamento (al quale la Commissione sta già lavorando alacremente). La natura dello strumento legislativo scelto (il regolamento) garantisce un’applicabilità immediata in tutti gli Stati membri delle norme e degli standard che saranno definiti per il cloud. Questo eviterà la tradizionale ‘concorrenza tra ordinamenti’ che spinge verso il basso le garanzie (si pensi alle politiche fiscali).

Per un cloud nazionale italiano si è espresso, due giorni prima (il 13 ottobre) il Parlamento italiano (con le Commissioni Bilancio e Politiche UE) che ha raccomandato al governo “di dare impulso a un grande partenariato pubblico-privato per la realizzazione del Polo strategico nazionale della pubblica amministrazione e l’impulso a un grande partenariato pubblico-privato per la realizzazione del cloud pubblico italiano a cui partecipino le aziende italiane pubbliche e private con dimostrata competenza nel settore”. Le commissioni precisano che “anche la realizzazione della Strategia per l’intelligenza artificiale si può basare solo sull’esistenza del cloud nazionale per essere artefici e non meri consumatori di intelligenza artificiale” e raccomandano, per raggiungere questo obiettivo, di utilizzare le risorse del Recovery Fund.

Mi attendevo su questi temi, rilevanti su un piano economico ma anche sociale e di sviluppo, un dibattito vivace, che conducesse a un apprezzamento convinto dell’iniziativa franco-tedesca, anche con la proposta di assumerne la guida, per alcuni servizi o tecnologie in cui le imprese italiane hanno ambizione di frontiera. Quel dibattito, che avrebbe consentito al governo italiano di muoversi sulla base anche di un consenso popolare o almeno del mercato, ha ceduto il passo alla querelle ormai trentennale sull’infrastruttura di telecomunicazioni, concentrata sulle caratteristiche della rete in fibra e, di conseguenza, sull’opportunità o meno che questa continui a svilupparsi in un regime di concorrenza. Tema essenziale certo, poiché costituisce il presupposto del cloud, ma non strategico. Che la rete in fibra sia unica, o vi sia una concorrenza tra operatori che condividono elementi di rete e risorse (secondo lo schema consentito dal Codice delle comunicazioni elettronico europeo) è neutro, su un piano tecnico. Non lo è per le aziende che forniscono la rete, mi rendo conto.

Quel dibattito mancato, a sostegno dell’azione del governo, dovrebbe ora accendersi per discutere le modalità di realizzazione di un progetto che ormai la politica ha deciso, superando le incertezze dei mercati e quindi, inevitabilmente, orientandoli (quella che chiamavamo ‘politica industriale’ viene declinata ora come ‘politica europea di sviluppo solidale necessaria’). Progetto su cui la Commissione europea, ragionevolmente, auspicherà vengano convogliate parte delle risorse del Recovery Fund.

Spetta ora al governo, che sottoscrivendo con entusiasmo la dichiarazione del Consiglio UE, si è assunto l’onere (ma a questo punto, soprattutto l’onore) di una scelta netta di politica industriale, muovere il primo passo. Non escludendo dal tavolo nessuna delle aziende, italiane e straniere, che operano in Italia, ma ragionando già nella prospettiva dell’applicazione del ‘regolamento cloud’, con la consapevolezza quindi che la sovranità sui dati, nei modi in cui sarà declinata, costituisce un presupposto, non l’obiettivo dell’azione. La partita sullo sviluppo e la regolazione dell’intelligenza artificiale è appena agli inizi, ma è il campo su cui si gioca una buona parte dell’evoluzione dei servizi in Europa.


Fabio Bassan

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