Ha giustamente fatto scalpore la lettera del Ministro Luigi Di Maio, esponente di primo piano del Movimento 5 Stelle, a Il Foglio con le scuse a Simone Uggetti, già sindaco di Lodi costretto alle dimissioni nel 2016 per accuse oggi rivelatesi infondate e soprattutto per la campagna giustizialista orchestrata all’epoca dal M5S e dallo stesso Di Maio.
Di Maio, riferendosi al giustizialismo grillino, ha dichiarato: “Le modalità con cui abbiamo dato battaglia appaiono adesso grottesche e disdicevoli”.
Sono parole che rendono indubbiamente onore al Ministro degli Esteri ma che sono state accolte con sorpresa se non fastidio o dichiarata disapprovazione da molti esponenti del Movimento e da quanti hanno trovato miglior cittadinanza nella variegata galassia della diaspora grillina.
L’onorevole Di Maio non è nuovo a improvvisi cambi di posizione, essendo passato dall’accusare il PD di essere “il partito di Bibbiano” ad essere promotore del governo giallorosso; da eccessive simpatie cinesi e da sbandate chaviste all’atlantismo più convinto; dalla richiesta di impeachment per il Presidente della Repubblica alle quotidiane lodi per Sergio Mattarella; dal civettare con l’ala più dura dei gilet gialli francesi a chiedere l’ingresso a Renew Europe cui aderisce En Marche del Presidente Macron.
La svolta “garantista” è stata comunque giustamente accolta dal plauso di molti esponenti politici e tra questi non ultimo Matteo Renzi che non è mai stato “generoso” con il Movimento: un plauso che condividiamo.
Ci permettiamo però di fare una osservazione: se si inanellano tanti giri di valzer su questioni certamente non di secondaria importanza, se si arriva a definire “grottesca e disdicevole” la condotta che di fatto ha caratterizzato il mainstream grillino, non sarebbe opportuno, dopo essersi assunti le responsabilità, scontarne le relative “sanzioni” dimettendosi dalle varie cariche?
Ciò che viceversa molti acuti osservatori hanno notato è la corrispondenza tra drastici mutamenti di linea e competizione per la leadership del movimento. Dopo aver messo progressivamente fuori gioco su altri temi Di Battista, Crimi e lo stesso Grillo, Di Maio sembra aver preso in contropiede sul tema giustizia il nuovo capo in pectore dei Cinquestelle e cioè Giuseppe Conte, proprio nel momento in cui l’ex-premier fa più fatica a dipanare la matassa grillina. La timida e imbarazzata reazione di Conte ne è la conferma.
La trasformazione di un movimento antisistema in un partito con cultura di governo non può certo avvenire senza contorcimenti e contraddizioni.
Sono però due anni che la galassia Cinquestelle non esprime più una fisionomia riconoscibile.
Ciò non danneggia solo loro, che già devono imputare alla propria interminabile confusione interna le incertezze ed i ritardi che hanno causato la caduta del Conte due e cioè del governo da essi guidato. Ciò costituisce una zavorra insopportabile per l’intero panorama politico che nella nascita del governo Draghi dovrebbe trarre la chance per il superamento di quelle condizioni che hanno portato ad un sostanziale commissariamento di tutti i partiti.
Mario Draghi sta facendo il suo dovere in testa al gruppo. Tutte le forze politiche arrancano dietro di lui, ma sono i Cinquestelle quelli che sembrano inchiodati sui pedali.
Maurizio Troiani
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