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Pandemia e classe politica

Negli USA la pandemia sta causando quasi 600.000 decessi, molti di più della somma dei caduti statunitensi nelle due guerre mondiali e in Vietnam. In Italia stiamo superando i 110.000 decessi in poco più di un anno, quando durante la seconda guerra mondiale in circa cinque anni le vittime civili sono state 150.000.

Dal punto di vista economico, le conseguenze della pandemia sono gravissime, soprattutto in Paesi come il nostro che già coniugavano bassi saggi di sviluppo ad un debito pubblico estremamente alto.

Secondo l’ISTAT nel 2020 il PIL è stato pari a 1.651.595 milioni di Euro con una caduta del 7,8% rispetto al 2019 mentre il debito pubblico ha raggiunto i 2.569.258 milioni di Euro, pari al 155,6% del PIL. Per effetto della minore flessione delle entrate fiscali e contributive (-6,4%), la pressione fiscale complessiva (ammontare delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali in rapporto al Pil) è risultata pari al 43,1%, in aumento rispetto all'anno precedente (42,4%), con un ulteriore effetto depressivo sull’andamento economico.

Siamo, in breve, di fronte a “dati economici di guerra”, che causano un deciso incremento del debito pubblico in un Paese che aveva già raggiunto livelli record, in parte alleviati dai provvedimenti presi dalla UE a cominciare dal venir meno dei vincoli di bilancio e dai provvedimenti a sostegno dell’occupazione e più in generale dal Recovery Fund, anche se nella preparazione del piano italiano sono ormai evidenti le conseguenze negative del modo nel quale il precedente Governo ha affrontato (o meglio non ha affrontato) la questione.

L’avvento del Governo Draghi sostenuto da una larghissima maggioranza ha suscitato e tuttora suscita molte speranze non solo sul piano economico ma anche politico e più in generale sulla piena consapevolezza della situazione in cui versa il Paese.

Il Commento Politico ha scritto a più riprese che il governo Draghi non potrà non avere delle conseguenze sulle forze politiche e sugli schieramenti che presumibilmente affronteranno le prossime scadenze elettorali, sia amministrative che politiche.

Ma mentre nel fronte di centrosinistra questi cambiamenti si sono già prodotti e si stanno valutando i cambiamenti di indirizzo e di strategia conseguenti all’avvento di Enrico Letta alla segreteria PD e di Giuseppe Conte alla guida del M5S, nella situazione del centrodestra non sembrano invece emergere elementi nuovi che facciano pensare a un positivo “effetto Draghi” anche su questa parte dello schieramento.

Forse questa renitenza al cambiamento è legata al fatto che il centrodestra viene indicato tuttora lo schieramento con molte possibilità di vittoria – anche in virtù dell’attuale sistema elettorale - nelle prossime competizioni elettorali, soprattutto politiche con i sondaggi che lo danno complessivamente vicino al 50% dei consensi. È chiaro che con una simile prospettiva, la tentazione è di nascondere le differenze peraltro evidenti e continuare a marciare uniti verso il traguardo elettorale.

Sino a qualche settimana fa c’era ancora qualcuno che immaginava che l’adesione al governo Draghi sarebbe stata seguita da una conversione europeista della Lega e scommetteva sull’ingresso della Lega nel Partito Popolare Europeo, così come molti scommettevano sull’abbondono delle posizioni sovraniste e populiste, incompatibili con la natura e il programma del Governo Draghi.

In realtà, invece, anche per effetto del continuo travaso di voti, segnalato nei sondaggi, dal partito di Salvini a quello della Meloni che veleggia ormai sul 16-18 per cento, Salvini sembra essere costretto dalla sempre più evidente concorrenza fra i due maggiori azionisti del centrodestra ad accentuare le posizioni più radicali.

Per ora egli cerca di mantenere una parvenza di linea politica che unisce insieme posizioni di “lotta e di governo”. È quello che riuscì a fare durante il Governo Conte 1. Evidentemente pensa ancora di poter ripetere il giuoco di fronte al Governo Draghi.

In questo senso non debbono meravigliare più di tanto le sue alleanze con il premier ungherese Orban e quello polacco Morawiecki, quanto di più lontano dal Governo Draghi e dalla maggioranza che lo sostiene, così come non debbono meravigliare le sue imperterrite prese di posizioni a favore di aperture “per tornare alla vita” nonostante la curva epidemica stia raggiungendo il culmine e continua purtroppo a mietere vittime.

A livello europeo, Salvini non può permettere che la Meloni con la sua leadership del gruppo dei conservatori possa togliergli spazio in quell’area, da qui l’alleanza con Orban e Morawiecki.

Parimenti, nel confronto interno, non può consentire alla stessa Meloni, che non disdegna di partecipare ad ogni manifestazione di categoria, di avere l’esclusiva della protesta soprattutto di quei settori e quelle categorie storicamente sensibili alle istanze di destra.

Siamo cioè alla caccia all’ultimo consenso e ad un profluvio di presenza su tutti i mass media per rimarcare un supposto protagonismo senza soluzione di continuità.

Da qui il continuo inseguimento ad ogni proposta da cui può scaturire consenso: dalla flat tax che nega il principio costituzionale della progressività dell’imposizione fiscale, ad ogni sorta di condono contrabbandato come pace fiscale, all’abbassamento dell’età pensionabile in un’epoca di aspettative di vita fortunatamente in aumento.

Senza parlare del problema dell’immigrazione le cui proposte spaziano dal blocco navale alla negazione dello ius soli, sino ad evocare il pericolo della sostituzione etnica per difendere “le radici cristiane dell’Europa”, tema quest’ultimo su cui – per fortuna – ci vengono risparmiati ultimamente le invocazioni pubbliche al Cuore Immacolato di Maria.

L’interrogativo è se questa strategia di Salvini possa avere successo, o se invece a un certo punto la realtà lo costringerà a scegliere fra l’alleanza con la Meloni e dunque abbandonare il Governo o se invece, anche per le resistenze di quella parte della Lega che ha un vero progetto di inserimento del partito nello schieramento europeista (vedi Giorgetti, Zaia, forse Fedriga e così via), Salvini sarà costretto a rimarcare le differenze fra Lega e Fratelli d’Italia. Né si può escludere che Forza Italia possa a un certo punto capire – complice una legge elettorale proporzionale – che la deriva di Salvini verso destra le offre una vera opportunità di ripresa.

Certo, per tornare ai temi in premessa del presente articolo, se la pandemia può essere definita con qualche ragione “la terza guerra mondiale”, quale classe politica si appresta a gestire il nuovo dopoguerra?

Può davvero l’Italia affidarsi, per un compito analogo a quello che spettò ai partiti antifascisti alla fine della seconda guerra mondiale, a una destra irresponsabile, priva di un programma credibile rispetto alla concretezza del governo Draghi, senza una leadership riconosciuta?

Si può essere giustamente pessimisti e può non bastare per il futuro l’ottimismo della volontà, e quindi si può pensare che la destra continuerà a marciare verso una vittoria che sarebbe la catastrofe per l’Italia. Ma quello che è certo è che un tale disegno può realizzarsi più facilmente se dovessero arrivare presto le elezioni politiche.

Ma chi altro, oltre Salvini, nella maggioranza potrebbe essere incline ad accelerare la fine della Legislatura? Non certo i 5 Stelle, non il PD, non la stessa Forza Italia. Dunque Draghi resterà quasi certamente al di là della scadenza presidenziale e le contraddizioni della destra avranno modo di emergere progressivamente. Almeno così speriamo.


Maurizio Troiani

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